Kandrel Kandelier

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    ~ Candelabro ~

    L'ambiguo Tutto-Fare



    DdFYjQuUwAItGDN

    Nome e Cognome

    Kandrel Kandelier
    (Seraphicus Morpheo ??????)

    Soprannomi

    “Il Gobbo”, ”Candelabro”

    Razza

    Umano

    Età

    37 anni

    Data di nascita

    Presumibilmente 12
    Neroth’el 1090 d.G.


    Dimora

    Torre di Jan Feist

    Stato Civile

    Celibe

    Orientamento Sessuale

    Asessuale

    Stato Sociale

    Un improvvisato,
    povero maggiordomo

    ...Il mio padrone potrebbe tardare un po'.

    Aspetto Caratteriale


    Benvenuti,

    son qui per servirvi.

    Enigmatico, vuoto, a tratti finto, calmo.
    Forse folle.
    Se fosse concesso uno strappo alla regola, così da ridurre la definizione di "vivo" a "essere dotato di materia grigia funzionante" , allora Kandrel è più morto che mai. E' incerto sulle usanze di chi ancora ha possesso del proprio corpo; non è costretto da freni inibitori, fissa a lungo le persone senza sentirsi a disagio, allunga le mani dove non dovrebbe, uno scostumato? Qualcosa sotto c'è, ma va oltre la mera volgarità...

    Il suo senso dell'umorismo è decisamente deviato, tra l'inquietante e il geniale andante.
    Recipiente ambulante di un'anima deteriorata, cela il suo “nulla” mediante misteriosi sorrisi, o smorte espressioni.
    Certe volte con malsane risate.
    Altalenante fra silenzi e idiozie, in bilico sulla linea sottile dell'imperscrutabile.
    Servizievole, con tutti. Individua il padrone nel prossimo suo, mai in sé stesso.
    Nessun essere, tuttavia, ha mai potuto usufruire completamente dei suoi servigi, per motivi sconosciuti.
    Gode del puro gusto di servire, di conquistare la fiducia del padrone o dell'ospite stesso, per renderlo dipendente dai suoi servizi, per invertire la sua condizione di maggiordomo.
    Per soggiogare il libero arbitrio altrui.
    Risulta per il più delle volte innocuo, per via della sua “social condizione”. Che danno può mai arrecare un maggiordomo?
    E' molto raro che si inalberi, poco frequente che gioisca.
    Quei saltuari momenti di saggezza prevedono secondi fini, spesso soggetti alle leggi del non-senso, alle leggi della follia.
    Estremamente convincente nei consigli che offre.
    Non ricorda il passato, eppure è affamato di memorie, e trova sazio nell'interazione con gli ospiti o i padroni, un parassita del vissuto altrui. Il suo Io è mutato nella figura del maggiordomo, perché non è nemmeno padrone della coscienza del Sé.
    Quel che rimane della sua mente è attraversato da idee brillanti, probabilmente maturate dagli ormai defunti neuroni, ma il suo pensiero è spesso corrotto dai numerosi tête-à-tête con la morte, e dal conseguente vuoto, così dimentica con facilità, e inquina i ricordi con quel che la dissennatezza suggerisce: il logico si fonde con l'illogico.



    Aspetto Fisico



    La sua gobba riduce notevolmente la reale altezza, che si aggira intorno agli 1.80 m. E' magro, quasi scheletrico. I suoi capelli sono lisci e lunghi, si alternano ciocche bionde a ciocche nere. Sulle pallide occhiaie giacciono i suoi occhi castano scuro, il più delle volte spenti. Il viso è scavato ed emaciato, il naso aquilino, neanche un filo di barba. Le labbra sottili alternano la loro forma fra seria, mezzi sorrisi o ghigni segreti. Veste come un comune maggiordomo, però è spesso trasandato. Tiene il più delle volte il frac sbilanciato, il gilet è maldestramente asimmetrico rispetto alla camicia, che a volte fuoriesce dal pantalone. Le scarpe tuttavia sono ben curate. Da una sola manica spunta la mano affusolata, l'altra è celata. Questo mix di aspetti invecchia più del dovuto le sembianze del Tutto-Fare.

    Chiunque abbia la sfortuna di guardarlo nudo noterà un gran numero di lividi e cicatrici. E' la gobba quella che preoccupa, pare che sia il punto preferito dai padroni per infliggere dolore al servo; su essa si dipinge un macabro quadro spennellato a colpi di calci, pugni, frustate, e chi più ne ha più ne metta; è la cruda testimonianza del male insito nell'uomo, il carnefice, e nel masochista, Kandelier.

    L'epiteto "maggiordomo" è un'offesa alla categoria, una stonata copertura che mal descrive le fattezze di Candelabro, poiché in tutto e per tutto egli ricorda un senzatetto. La sua igiene è precaria, affidata alle occasionali piogge che lo lavano da cima a fondo, o ai gavettoni prepotentemente lanciati da villici che incrocia nel suo cammino, i quali si armano di secchi pieni di acqua e sapone.
    Fortunatamente le ghiandole sudoripare sono pigre, e il poco sudore scivola via, ma la muffa è il vero problema, come Kandrel, si origina dalla vita, la inquina, e si trasforma in funghi e batteri indesiderati; essi trovano casa nelle cuciture nascoste dei vestiti umidi e liberano il tanfo di "vecchio" che circonda il povero gobbo. Una volta che la puzza raggiunge il suo picco essa è in grado di risvegliare i sensi olfattivi di Kandrel, che finalmente si accorge di dover dare una buona asciugata ai suoi indumenti.

    All'interno di una delle tasche del pantalone egli conserva due semi di Aquilegia Vulgaris e Jasminum seppelliti in un grumo di humus erroneamente raccolto, e così come le muffe anche essi si dissetano dell'acqua che occasionalmente ricevono; il terriccio è diventato fertile, una minuscola rappresentazione del tanto amato giardino che in passato il maggiordomo curava. Un vero pollice verde, forse un po' troppo, poiché dai semini sono sbocciati i primi rametti con tanto di fiori; i rovi sbucano fuori dalla tasca e si re-inseriscono all'interno degli abiti fra frac e camicia, e così terminano all'altezza del fianco. I profumi contrastano in una certa misura il lezzo pocanzi menzionato. E' solo una questione di tempo prima che le fronde troveranno nell'intero corpo una decomposta forma di nutrimento.




    Segni Particolari


    Quando accenna sorrisi lo fa da una sola parte della bocca, mantenendo un lato fermo. Il riflesso di sbattere le palpebre è metabolizzato molto lentamente dal cervello, e spesso i neurotrasmettitori si stufano di leggere l'informazione, così la buttano via; tocca dunque all'area "razionale" dell'encefalo emulare tale riflesso, forgiando ad hoc quello che sembra più un tic fatto per mimare le fisiologie base dei vivi; peccato che tale sforzo sia scarsamente pensato, la chiusura delle palpebre non è sempre simultanea!
    Ha una voce nasale, piatta, ma nei momenti di follia si abbandona ad acuti sforzati, che in un comune umano logorerebbero le corde vocali.


    Talenti


    Senso del bello, Gusto dell'orrido:
    Le attività creative come il dipingere, la composizione musicale, e altro, sono alla mercè della follia di Kandrel.
    L'esperienza e la dissennatezza hanno permesso al maggiordomo di apprendere un talento piuttosto deviato.
    Esso consiste nel saper disporre opportunamente le note sul pentagramma, i colori sulla tela, o le parole all'interno di una storia secondo ben precise combinazioni, che a seconda dello stato mentale di Kandrel possono attrarre o terrorizzare gli spettatori.

    Memoria Tattile:
    Inspiegabilmente, una zona del cervello di Kandrel ha una memoria persistente, ed è quella tattile. Egli è abilissimo in attività manuali come: suonare il pianoforte, svolgere faccende domestiche, scrivere rapidamente, etc. Queste capacità si sviluppano nel tempo, arrivando a raggiungere alti livelli.

    Parassita della Conoscenza:
    Egli è servo, è apprendista del suo padrone, del suo ospite, del suo maestro. Proprio per questo assimila come un parassita tutte le sue abilità, informazioni, trucchi ed esperienze.
    Ad oggi Kandrel ha buone conoscenze un po' spalmate in qualsiasi ambito, dalla Medicina alla Matematica, dalla Letteratura all'Alchimia, dagli Incantesimi alle Tecniche di Combattimento.
    Ovviamente non tutte tra quelle elecante sono utili e di possibile applicazione, perchè la costituzione fisica e la psiche di Kandrel Kandelier costituiscono un collo di bottiglia.
    E' veloce nell'apprendimento dei testi, capacità che egli esercita nella biblioteca privata della tenuta del suo “padrone”.

    Magia:
    Kandrel è in grado di utilizzare la magia. I suoi incantesimi risultano essere talvolta strambi, talvolta crudeli.


    Bonus


    SedaDAvo: Solo una mente deviata come quella di Candelabro è in grado di concepire la morte come "piacevole droga", ed è la folle mania suicida l'unico mezzo per assaporarla, ma quando è lì lì per goderne appieno qualcosa va sempre storto! Chi si impiccia per curare le ferite mortali, chi lo ferma in anticipo, persino il corpo gli rema contro, maledetta cicatrizzazione! Il tuttofare non si arrende, sperimenta sempre nuove vie -creative, quasi- per bere dal calice della conoscenza, e gustare il sapore della fine.
    Questo circolo vizioso vita-pre morte-vita avvelena l'intelletto del maggiordomo, scuote prepotentemente la corteccia cerebrale, e causa danni irreparabili, quali l'incapacità totale di provare dolore. Se il fisico di Kandrel ancora si oppone al deperimento non fa così il senno, che mefistofelicamente fomenta la voglia di morire, e inibisce i nervi come un potente sedaDAvo (...o sedativo? Oh no, i centri del linguaggio!). Che tu gli tagli un braccio, gli spezzi le ossa, gli cavi un occhio, beh Candelabro non batterà ciglio, forse proverà solletico, giusto per far sì che egli si accorga del danno, e scegliere cosa fare; se il padrone lo desidera, Kandrel può fingere di soffrire come un cane, non si badi al viscido ghigno stampato in faccia!


    Malus


    SedaDAvo: La pallida imitazione di un non-morto terminerà una volta che il povero maggiordomo, inconscio di una ferita mortale, o di aver perso troppo sangue, perirà per colpa delle gravi lesioni riportate, se solo i suoi nervi avessero funzionato nel momento del bisogno! Provare dolore è la base della sopravvivenza, è un allarme contro i pericoli, privarsene è una lama a doppio taglio. Kandrel può fare affidamento solo sul sistema nervoso volontario (e non autonomo) per accorgersi che le menomazioni gravi vanno curate; c'è solo un problema: la ratio è serva del caos!


    Beni Materiali


    Armi:
    Mai Kandrel rivolgerà l'arma contro il suo padrone, tuttavia porta spesso con sé un falcetto ben affilato, per prendersi cura dell'orto.
    Non può separarsi dal suo candelabro, una sorta di marchio di riconoscimento. Esso è un catalizzatore magico, e quando il Tutto-Fare scaglia un incantesimo le candele si illuminano di una luce di colore verde acqua, dovuto all'apparire di fiamme fredde non brucianti sui cerini.

    Catalizzatore Magico:
    Il suo "preziosissimo" candelabro.

    Effetti Personali:

    "Il Filatterio":
    Un piccolo orologio da taschino la cui catena è avvolta attorno all'avambraccio sinistro di Kandrel; con uno scatto della mano può scioglierla e fare cadere l'oriolo penzoloni. La parola "Filatterio" significa "casa" in lingua antica, tale nome è stato affibbiato al meccanismo perché esso era originariamente sincronizzato con il pendolo a cucù della tenuta Morpheo, sfasato di mezz'ora. Il metallo è arrugginito, lo specchietto è un po' scheggiato, e le lancette sembrano arrancare prima di ruotare in avanti.

    Non si direbbe, ma esiste qualcosa per cui Candelabro è impaziente: la morte. Saltuariamente, in maniera quasi compulsiva, Kandrel agita il braccio sinistro e osserva gli aghi che segnano l'ora. Il maggiordomo ha partorito nel suo immaginario una strana associazione: se le lancette si muovono egli è ancora soggetto alle leggi del tempo, e la sua vita continua a scorrere con esso; se le lancette sono ferme significa che finalmente la Mietitrice è giunta. Un essere come Candelabro non è più in grado di provare amore, o odio, però nei meandri della sua mente ha conservato un'istinto di disprezzo verso il Filatterio, poichè esso rappresenta gli strascichi di una mortalità che egli vorrebbe sopprimere. E' per questa ragione che il movimento di scatto per far scendere l'orologio è violento e repentino, e fa sì che la catena, invece di sciogliersi aggraziatamente verso il basso, ondeggi da una parte e dall'altra; Candelabro vorrebbe leggere lo stramaledetto orario, ma è costretto a seguire con lo sguardo il "pendolo" che oscilla! Non capirà nulla, anzi si ipnotizzerà da solo; la sua mente si placherà nei picchi di follia, o acuirà la dissennatezza se c'è troppo ordine fra le sinapsi.


    Tesori: //

    Animali Domestici: //

    Mezzi di Trasporto: //

    Conto Corrente: #010



    Storia


    jpgDelle tante ricerche che Seraphicus Morpheo ha condotto durante la sua vita da accademico, ve n'è una che non è mai stata pubblicata sotto forma di pomposo trattato di Magia. Si ricorda il "De purificatione contagionis vampirae", il "De fluiditate temporis", ma nessuno di essi fa riferimento alla "rivelazione mesmerica" che lo studioso sperimentò sul sig. Vankirk. E' pur vero che l'indagine fu spacciata al pover uomo per "prestazione terapeutica", ma non era minimamente costretta dai vincoli di segreto professionale che tutelavano il paziente, dunque ciò non spiega il motivo della mancata divulgazione.
    Era noto che il sig.Vankirk soffrisse di una tisi in stato avanzato, e che spedisse incessantemente delle missive a vari teorici della Torre di Jan Feist, sperando di attirare l'attenzione di aspiranti medici e taumaturgi. Il motivo di tale insistenza risiedeva negli scarsi effetti delle cure, nelle conseguenti richieste da parte del malato di non desistere, e nella scelta di ignorarle perché perdita di tempo. Ciò bastò a solleticare l'inarrendevole voglia dell'erudito Seraphicus di raccogliere il guanto di sfida e affrontare la ricerca da un punto di vista stregonesco. L'idea prevedeva la rivisitazione di una tecnica sperimentale: il mesmerismo -o magnetismo animale-; esso consisteva nell'applicazione di calamite su parti del corpo che ostruivano il fluido armonioso della vita, in modo tale da sbloccarle e garantire un sano scorrimento del liquido. La superbia dell'arcanista ignorava i pareri della critica scolastica, che definivano tale pratica come "banal superstizione". Egli credeva di poter dare dignità al mesmerismo grazie all'impiego della magia, e qualora gli esiti fossero stati trionfanti non solo il suo borsello si sarebbe arricchito, anche il suo Ego sarebbe cresciuto sino a toccare il cielo.
    Ho ragione di stranirmi circa l'occultazione di tale studio, poiché avvenne che il sig. Vankirk cadde in uno stato di ipnosi, e fece da medium fra Seraphicus, incredulo dinnanzi la situazione, e quella che io credetti una qualche entità ultraterrena, generosa nello svelare i segreti della morte. Sono certo che un evento del genere avrebbe segnato il vissuto di qualsiasi ascoltatore, e temo che su una persona curiosa come Seraphicus ciò abbia lasciato un vero e proprio squarcio nella mente. I miei sospetti nacquero quando Morpheo mancò ad un appuntamento con il malato, e al suo posto si presentò il suo maggiordomo, anzi, il suo unico amico, Horace Kandrel. Ebbi l'occasione di ascoltare una conversazione fra Vankirk e il factotum, quest'ultimo riferì con tono allarmato che Seraphicus era eccessivamente immerso nello studio, tanto che si recluse in camera, mangiava di rado e beveva soltanto alcolici; non dormiva più, e quando l'orologio a cucù rintoccava si udivano urla prepotenti che penetravano il duro legno della porta: "Zitto, zitto zitto! Sta' zitto!".
    Mi venne la pelle d'oca, forse perché la notte era talmente fonda che nemmeno la candela tenuta da Horace bastava a illuminarci, e sentire quelle parole mi rattristò molto. Horace aggiunse che Seraphicus si scervellava su determinati passi dell'ipnotica conversazione con il sig.Vankirk, e che il maggiordomo fu in grado di trascriverli in segreto, dunque li riferì:

    "Vi sono due corpi... il rudimentale ed il completo, che corrispondono
    alle due condizioni del bruco e della farfalla. Quella che noi chiamiamo
    "morte" è soltanto la dolorosa metamorfosi. La nostra presente incarnazione è
    progressiva, preparatoria, temporanea. Quella futura è perfetta, definitiva,
    immortale. La vita ultima è il fine supremo...

    ...Non soffrire significherebbe non
    essere stato mai felice. Poiché nella vita inorganica non è possibile il dolore,
    si è reso necessario creare la vita organica. Il dolore della vita primitiva sulla
    Terra è l'unica base per arrivare alla felicità della vita finale del Cielo"

    Rimasi confuso, scelsi poi di non dare troppo peso alle illazioni di Horace, il quale insinuava che l'amico si stesse impelagando in una folle teoria dell'immortalità.
    Passò un mese, nè Seraphicus né il suo fidato garzone si presentarono più alla Torre. Ipotizzai che fosse abitudine incontrarsi di notte, dunque mi armai di coraggio, e decisi di recarmi nel posto in cui si intavolò la strana conversazione sopraccitata.
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    Erano le 3.33, mi lasciai guidare dall'istinto perché il silenzio, misto ad oscurità e nebbia, fomentava la paura e mi allontanava dal raziocinio; non so spiegare come, ma mi ritrovai a metà di un'alta scala a chioccia che dava all'esterno, il cielo notturno mi circondava. L'affanno mi costrinse a fermarmi per una pausa, così alzai lo sguardo per valutare quanto mi mancasse prima di svoltare l'angolo, e fu in quel frangente che l'incubo mi si materializzò davanti.

    Prima si disegnò l'ombra sulla parete, poi sbucò il candelabro...la mano che lo teneva...e infine l'intero corpo, curvo nell'aspetto, oserei dire gobbo, seppur sopraelevato rispetto a me. Un rumore di vetri in frantumi spaventò i merli appollaiati, non mi accorsi di aver lasciato cadere la lanterna, la mia attenzione era rapita dalla figura nera che passo passo scendeva, si avvicinava...ancora...e ancora. Sperimentai una sensazione simile alla paralisi ipnagogica, mi pietrificai di fronte a quell'essere angosciante.
    "E' di fianco a me, mi ucciderà" pensai, mi ci volle un po' prima di convincermi che il mostro continuò la sua discesa, e che ormai v'erano troppi gradini di distanza, ciononostante non riuscii a tranquillizzarmi; quando mi passò accanto ebbi come l'impressione che quella creatura avesse strappato via una parte di me. Ironicamente fui io a rubare a lui; portava con sé un insieme di fogli arrotolati a mo' di pergamena, un nastro viola li strozzava; una delle pagine scivolò vicino ai miei piedi, la raccolsi e la lessi più volte.
    Era parte del "De metamorphosin chimaerae", la recente monografia di Morpheo sulla creazione, sviluppo e morte delle chimere.
    La terminologia accademica mi disorientava, mi focalizzai sulle note disorganizzate -e scritte probabilmente dopo la stesura- sparse qui e lì fra un rigo e l'altro, rimandavano a collegamenti fra il processo di unione delle parti organiche e la possibilità di estendere la durata della vita ai limiti dell'impossibile. Ero piuttosto convinto che il cartaceo non fosse stato manomesso dal misterioso gobbo, poiché identificai la calligrafia di Morpheo, conoscevo anche quella del suo maggiordomo, eppure mi insospettii ugualmente quando notai che la firma dell'autore era stata barrata di netto. L'autografo era diverso; era come se Horace, col suo ordine maniacale per gli spazi, avesse elegantemente compilato il nome, Seraphicus invece, caotico nei ragionamenti tanto quanto nella scrittura, il cognome.
    Come già detto non dubitai circa l'autenticità del documento, però fra me e me riconosco che la mia fu più fede che certezza, e col senno di poi trovo ragione nel diffidare che possa esistere una persona sana di mente che si firmi "Kandrel Kandelier".

    Non si ebbe più traccia di Seraphicus, né di Horace; strani episodi accaddero, accadono tutt'ora, dopo la scomparsa dei due. Ricercatori della Torre che scrivono con meno frequenza del solito, chi non è mai stato brillante con gli studi riaffiora con teorie innovative, chi sparisce dal giro, ma continua a pubblicare.

    Dimenticherei volentieri la memoria di questi avvenimenti, perché si sono insinuati nella mia testa come tarli; forse ho capito di cosa mi ha privato la creatura sulla torre, è la capacità di liberarmi dell'ossessione di questo ricordo, ormai ne sono dipendente. La colpa è della mia ingenuità, chi reputerebbe che il blaterar del povero malato potesse provenire dalle divinità? No, ora credo tutt'altro, quelli erano i deliri di un moribondo, stregato nel più incontrollato dei modi. Quanto agli strani fenomeni della Torre...temo che il mio chiodo fisso mi devii verso l'insania, non posso però fare a meno di riferire il mio pensiero. Osservo una costante nei trattati che vengono proposti dagli accademici di cui non si hanno notizie; accanto alla canonica frase iniziale dei saggi, "Mi accingo a riportare...", vi è scritto "...supposto che quel verme del mio galoppino non abbia macchiato la mia opera...". Talvolta è formulato in maniera differente, ieri ad esempio ho letto "...supposto che quel gobbo del mio tuttofare non abbia forato i fogli..."; mi era tornata in mente la macabra ombra di quella notte, avevo i brividi. Quel briciolo di ragionevolezza che mi è rimasto mi rasserena sul fatto che la creatura abbia lasciato la Torre, è la paranoia che mi induce alla considerazione che essa si spacci per i suoi "padroni", e che sfrutti l'occasione per divulgare le sue idee.

    Che fine ha fatto il sig.Vankirk? Beh, ti ha appena raccontato la sua storia.




    Prestavolto

    Reeve Carney


    Edited by Sceptius - 16/8/2023, 12:30
     
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