Lucciole nel buio

19 Nuruana’el 1127 d.G.

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    Baboom! Apro la prima role mia e di Ishumaeru! Se qualcuno si vuole aggiungere va bene!
    Link alla scheda del mio pg: Kandrel Kandelier


    19 Nuruana’el 1127 d.G.


    Si arrendeva il tramonto al buio della sera, e si spegnevano i contorni dei monti soleggiati. Il sole era crollato alla ninna nanna della Luna, che riconosceva il suo dominio sulle vette per essa scolpite. Piangevano le nuvole, intimorite dall'oscurità, e serpeggiava il vento fra i picchi, così alti da toccare il cielo.
    Le piante, ingorde, si nutrivano della sofferenza delle nubi, e arrampicate sui monti esibivano il loro profumo, i loro freddi colori.
    I ripidi sentieri elemosinavano luce dalle carovane, che con le loro lanterne si orientavano per seguire la meta. Lucciole nel buio, in silenzio per non attirare prede, e per non disturbare la sonata della natura.
    Un lieve canto spezzò l'equilibrio della sera, accennando un po' di vita in quel freddo scenario.
    Il dolce suono, quasi fanciullesco, proveniva da una carovana in marcia che si mostrava all'inizio del sentiero. Il mezzo avanzava, e portava con sé quella tenera voce, le cui parole sembravano meglio definite, e con esse la loro sorgente.
    Una ragazzina esile, coperta da un velo ma ugualmente infreddolita, sedeva sullo stanco cavallo della vettura. Un uomo, probabilmente il padre, cavalcava il cavallo adiacente, e il suo aspetto rozzo era ingentilito dall'illusione del canto della ragazzina.
    Tremavan le foglie, e così la fanciulla, che con queste parole la paura scacciava:

    “Così va la lucciola, lanternina volante,
    fra le lande notturne, viaggiatrice errante.
    Così fragile al freddo, intraprende il ritorno
    alla riva del fiume, attendendo il giorno.
    Vuol tornar dalle altre scintillanti compagne,
    e lasciarsi dietro queste alte montagne.
    Così cor- ”


    La ragazza trasalì, interruppe il canto bruscamente. La natura per un attimo zittì la sua orchestra.
    Da una cava buia della parete montana sbucò parzialmente una strana figura. Uscì prima una mano, che affondava le dita sul muro esterno della caverna, poi pian pianino emerse una sagoma lievemente deformata, un po' curva. Essa ingannò in un momento la vista della ragazza, poiché prima le sembrò di vedere un essere con una maschera, ma ad un minimo sbatter di palpebra notò una presenza diversa, più umana, illuminata da strane fiaccole blu.
    La fanciulla volse lo sguardo verso l'uomo sul cavallo per cercare conforto. Egli aveva sul viso un'espressione alterata, e con movimento di briglie accelerò la velocità della carovana.
    Gli occhi spenti della creatura appena giunta seguivano la vettura che si allontanava sempre più, per poi sparire dietro i monti. Il suo ghigno silente era in parte rischiarato da fuochi indifferenti alla pioggia, e accesi sui ceri di un candelabro.
    Proseguì il suo cammino verso la direzione opposta, ma sembrava non avere una reale meta.
    La natura riprese parola, e così il vento a soffiare fra i monti, mentre la creatura componeva un requiem cantilenante:


    “Così corre il bimbo, insegue le lucciole,
    e si finge falena attratta da lume.
    Immerso nell'ombra va incosciente l'ometto,
    perché egli è schiavo del puerile giochetto.
    Protende il braccetto, apre la mano,
    ma le lucciole scappano, e lo sforzo è già vano.
    Così piange il bimbo, ormai vede poco.
    Così ride il bimbo per quel sadico gioco.”



    Il tetro paesaggio tornò ad esser smorto, grazie al canto sinistro di Kandrel Kandelier.

    Edited by Maððie - 30/7/2023, 11:40
     
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    Il lavoro di Vixenna era per certi versi nomade: talvolta per acciuffare, o affettare, un solo criminale ci si ritrovava a fare giri su giri per un quarto del mondo sconosciuto; certe canaglie erano proprio ossi duri, o maestri del camuffamento. E mentre tra i Monti della Luna era appena calata la notte, sovrastati dalla Luna, in quell'insignificante momento della storia del mondo viaggiava Vixenna, a dorso cavallo, indietro rispetto ad un gruppetto di carovane, che facevano da unica fonte di luce in quel posto.

    Vixenna avrebbe anche potuto accamparsi, ma dopo la faticaccia che aveva fatto, preferiva viaggiare un giorno di più pur di poter posare la testa il prima possibile su qualcosa che assomigliasse ad un cuscino, sotto un tetto di legno... e quindi eccola qui, un po' assonnata, che si lascia trasportare dal cavallo (che segue la carovana come istruito), i vestiti coperti da un mantello leggero ma largo, mentre il cappuccio rimaneva abbassato; al fianco della sella pendeva una sacca di cuoio chiazzata di liquido che, al giorno, sarebbe stato identificabile come sangue: dentro quel tessuto spesso vi era la testa di un truffatore che era fuggito via in seguito a una coltellata di gruppo. Le istruzioni erano chiare: ammazzarlo e prendere i suoi guadagni illeciti, in modo da restituirli a chi spettava di diritto. E per staccare una testa la cacciatrice di criminali si era dovuta fare un bel giro tra i borghi abitati della regione, dato che quell'uomo usava più nomi e aveva amichetti che gli paravano le chiappe. Ma finalmente la caccia era finita.

    Tornando a noi, Vixenna si lasciava, in un certo senso, cullare dalla canzonetta della piccina a bordo del carro che stava in testa, una voce che si spargeva tra i monti. Era una canzone sulle lucciole, scelta piuttosto azzeccata per come erano l'unica fonte di luce per quelle miglia. E con quel canto chissà, forse Vix si sarebbe addirittura addormentata in sella, mentre il cavallo avrebbe potuto continuare a seguire quel drappello di carri così come andarsene da tutt'altra parte.

    Il "però" arriva ora: quello spensierato canto fu interrotto di colpo, come se qualcuno avesse smorzato di netto la voce della ragazzina, in modo non proprio naturale; questo primo particolare fece alzare lo sguardo di Vix dal crine all'orizzonte davanti a se, anche un po' a destra e a manca: delle sorta di lanterne blu sembravano stagliarsi in un punto di una parete rocciosa; vi era anche una sagoma di quella che sembrava una creatura umanoide; l'inquietudine si stava spargendo nell'aria, tanto che il carro in testa aveva accelerato fino a sparire in lontananza tra i monti; e Vix era rimasta un po' più sola...

    E mentre la ragazza rizzò la schiena, e coperte le braccia dal mantello preparò qualcosa sotto di esso, quell'essere iniziò una sua cantilena, che era il perfetto seguire di quella della bambina.

    Vix spronò quindi il cavallo all'attenzione, mentre si avvicinava di più a questa entità; se si fosse trattato di uno scherzo avrebbe proseguito il suo cammino come se nulla fosse, ma se così non era...forse sarebbe stata una serata da segnare nella propria zucca.
     
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    Corpo e mente di Kandrel vagavano come mossi dal vento, che sembrava essere più inviperito di prima. Anzi, per la precisione, era il corpo che trascinava a stento la mente, impegnata a perdersi nel vuoto del paesaggio, nel vuoto della realtà. Come la madre che prende per il braccio il figlio, palpitante per i balocchi esposti in vetrina, o come l'oste che deve accompagnar fuori l'ubriacone, che darebbe pure il fegato per un altro boccale di birra, ma Kandrel non era ubriaco, e nemmeno infantile. In lui vi era quella lucidità sufficiente da comprendere il presente, e l'insania necessaria per alterarne la percezione.
    Nessuna carovana transitava in quel momento, il maggiordomo si allontanò dal fianco del sentiero, ed era ormai al centro, pronto a scontrarsi con i passanti, ma a lui non importava -o meglio, capiva che non glie ne dovesse importare.
    Vide alla lontana avvicinarsi un cavallo, ma non distingueva bene chi ci fosse sopra. I neuroni di quel povero gobbo erano troppo occupati a dare l'impulso elettrico per una sonora incontrollabile risata.
    Le condizioni meteorologiche si intensificarono: la violenta pioggia picchettava sul corpo del maggiordomo, i cui contorni apparivano più definiti; il vento soffiava forte da sinistra, e gli scompigliava i lunghi capelli lisci, che talvolta coprivano in toto il volto e gli si insediavano dentro la bocca.
    Aprì le braccia, come a indicare l'immensità del paesaggio, e volse la testa prima a destra e poi a sinistra, ed incantato osservava il cielo. Leccava le gocce d'acqua che gli cadevano sulle labbra, respirava a pieni polmoni gli odori della terra bagnata. Si abbandonò ai sensi, e urlò:

    “Non è forse questa la serata perfetta?!”

    Risonarono due tuoni, e l'eco rispose: “...la serata perfetta...”

    Subito dopo il maggiordomo indicò un altro punto nella volta celeste, e riprese:


    “Lì nel cielo la luna segna l'ora...”


    “...perfetta...”

    L'ultimo scambio di battute fra Kandrel e la natura era spaventosamente anomalo. L'intonazione di risposta dell'eco concludeva alla perfezione la frase del maggiordomo, come se vi fosse un ascoltatore nascosto fra i monti, o peggio, uno spettro. L'unica spiegazione razionale era che quell'inquietante burla sonora fosse dovuta al rimbalzare dell'eco precedente su sé stesso, ma il voler negare l'ignoto è sintomo di paura, e le conclusioni improbabili il risultato dell'ignoranza.
    La distanza fra il cavallo e il maggiordomo si andava accorciando, per un millisecondo il pensiero di Kandrel Kandelier venne attraversato da un dubbio: come si sarebbe comportato il quadrupede?
    Candelabro non aveva un buon rapporto con gli animali, era come se li intimorisse, o li disturbasse. I primi tempi solamente gli insetti e le larve riuscivano a tollerarlo, ma erano “falsi amici”, perché lo abbandonarono dopo avergli divorato carne e organi.

    Così, ad un passo dal cavallo, strisciava Kandrel, larva nell'ombra affamata di vita, e di attenzioni.

    Edited by Sceptius - 30/6/2020, 10:22
     
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    Vixenna teneva le redini ben strette nella sinistra, mentre con la destra teneva altrettanto stretto l'oggetto posto sotto il mantello; se fosse successo qualcosa di strano, sarebbe stata pronta.

    Quella specie di figura, che man mano che si avvicinava assumeva connotati più umanoidi, si era messa al centro della strada, per poi scoppiare in una risata..matta; manco fosse un tuono, dato che la pioggia iniziava a farsi sempre più violenta, tanto che il mantello di Vix non la proteggeva dal sentire le gocce picchiettare.

    Un gobbo che parla al cielo...e per giunta con una risposta...o sto già dormendo in un sogno, oppure sono ubriaca, o questo mondo ha perso il suo senso...; vi era un senso di inquietudine mentre quell'individuo così.."eccentrico" si avvicina al suo cavallo, che inizia anch'esso a soffrire un po' di nervosismo.
    Accarezzando il crine e il collo del quadrupede, per calmarlo, Vixenna si rese subito conto che si era innescata un'altra complicazione: era scivolata la sacca con la testa mozzata, e ora con un tonfo era caduta sopra la strada, ormai fangosa.La cosa non era il massimo, dato che voleva dire scendere da cavallo e rinunciare alla posizione sopraelevata.

    Vixenna però, dopo aver dato un pungolo di speroni al suo animale, per ricordargli di stare immobile e non imbizzarrirsi, scese dalla sella, mantello avvolto fino all'altra spalla per nascondere cosa vi aveva sotto, e lentamente, non togliendo lo sguardo dall'individuo, iniziò a raccogliere la sacca, ora sporca sia di sangue che fango.
     
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    Lentamente i nervi oculari di Kandrel rispondevano allo stimolo visivo scattato a causa della presenza di una donna sul cavallo. Il gobbo alzò la testa in maniera un po' meccanica, come un ingranaggio non ben oleato, e scrutò la figura di quella che sembrava una ragazza avvolta da un mantello. La testa era coperta da un cappuccio, quindi di difficile lettura, ma non sembrava portare capelli lunghi, probabilmente ad altezza spalle.
    Gli occhi del maggiordomo puntarono immediatamente una sacca sporca di rosso che si mollò dall'attaccatura della sella. La forza di gravità spingeva giù la borsa, roteante a causa del momento angolare. La mente del Tutto-Fare rallentò il tempo, o meglio la percezione di esso. In quegli istanti dilatati dall'inconscio Kandrel si era perso nell'osservare la caduta della sacca, era così affascinante.
    Egli chinò la testa verso la spalla, per seguire meglio la traiettoria della gravità. Era come in uno stato di trance, rilassato nel guardare l'oggetto muoversi così lentamente da sembrare statico.
    La sacca si rovinò per terra, e le pieghe che si formarono scontornavano i tratti di quella che sembrava una testa. Si riconoscevano la forma del naso, parte delle orecchie, e le cavità degli occhi. Il tempo riprese a scorrere normalmente. Il tonfo della caduta e la vista di quella cosa per terra svegliarono Kandrel, che cacciò via il suo classico ghigno isterico, per mostrare un'espressione smorta, seria. Non era inorridito dalla cosa, o disturbato, il suo cervello aveva rielaborato in un attimo il suo “dormi-veglia” di prima, e aveva collegato la testa alla caduta. Era come se fosse scattato un bisogno fisiologico, un lieve momento di lucidità, che avvisava implicitamente il maggiordomo di riprendere il senno, di “raccogliere” la SUA testa da terra.
    Presto fatto, la ragazza scese da cavallo e si chinò per prendere la sacca. Intollerabile.
    Gravemente, vergognosamente intollerabile.
    “Mai lascerai chinare il padron tuo” recitava il comandamento, uno dei tanti “inventati” dal maggiordomo, e Kandrel non poteva violarlo.
    Egli si piegò fino al massimo che poteva, se fosse stato necessario si sarebbe pure inginocchiato; nessuna galanteria di sorta, solo volgare servilismo.
    In un primo momento fissò gli occhi della ragazza, poi abbassò lo sguardo, e con un accenno di sorriso -quasi forzato- pronunciò:

    “I miei rispetti.”

    Con tono piatto continuò:

    “Mi spiace se la mia presenza ha spaventato vostra...” -avvicinò il candelabro al volto della donna, per osservarla meglio, e riprese: “...galoppante signora.”

    Notò qualche particolare in più: il colore blu delle punte dei capelli era esaltato dalla luce dello stesso colore delle fiamme del candeliere, il resto dei capelli sembrava però più sul castano.
    Successivamente ritirò il candelabro, e con fare spento, quasi annoiato, proseguì:

    “Vostra signora deve avere buone ragioni per...viaggiare di notte fra i sentieri dei Monti della Luna...”

    Sembrava trascinare le parole a forza, e con una certa lentezza. La voce nasale annullava qualsiasi sentimento o intonazione, privando le frasi della loro musicalità. Riprese:

    “...l'alta pressione, il freddo, persino i pericoli della notte possono far...perdere la testa.” accennò un ghigno, poi tornò serio.

    Abbassò ulteriormente lo sguardo, e col dorso della mano sinistra si coprì il volto, come a volere nascondere qualcosa di estremamente incriminante. Appariva ingenuo, indifeso, patetico.

    Indietreggiò.

    “La mia insolenza è …riprovevole..., e così la mia ...irriverenza... Vi prego di malmenare questo rozzo maggiordomo, o di permettergli di rimediare in qualche modo.”

    La solita amusia del discorso si alternò stavolta con pause pregne di ragionamento. Candelabro concluse il suo appello con un mezzo riso celato dalla mano, e stava lì, bagnato fradicio, in attesa di ordini.
     
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    Mentre scendeva da cavallo poteva sentire lo sguardo del gobbo su di lei. Vixenna lo sentiva quasi come un fissare...pieno di disagio; mentre lei scendeva dalla sella per riallacciare la sacca con la testa, quel tipo era diventato una specie di statua osservatrice, per poi tornare nel mondo dei vivi e tentare un goffo inchino. Ma chi era questo gobbo deforme che viaggiava da solo, a piedi, di notte, sotto la pioggia, e si inchinava ad una cacciatrice di criminali che passava di lì a cavallo?

    Nel momento in cui iniziò a parlare a vanvera e gli mise praticamente in faccia un candelabro, Vixenna scostò subito il mantello, mostrando la sua balestra, carica e puntata verso quel tipo; forse si sarebbe dato una calmata e avrebbe smesso di parlare come una specie di maggiordomo masochista fuggito dal padroncino..

    "Qui l'unico ad avere perso la testa sei tu: sono l'ultima dei padroni, ma se vuoi proprio servirmi, ti conviene rispondere alle mie domande: primo. cosa ci fai qui a girare sotto la pioggia, sopratutto se sembri un maggiordomo; secondo, cosa diamine hai per la testa? Da quando in qua ti fai pestare da un viandante incontrato per la strada?"
     
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    "Qui l'unico ad avere perso la testa sei tu: sono l'ultima dei padroni, ma se vuoi proprio servirmi, ti conviene rispondere alle mie domande ...”

    Queste parole suonavano a Kandrel come una sublime melodia, riprodotta dalle corde di un vigoroso pianoforte, ma orchestrata da un timoroso compositore.
    Egli passò due secondi abbondanti a leccarsi di nascosto il dorso della mano, con cui nascondeva la sua espressione compiaciuta. Quel viscido, fradicio maggiordomo adorava i padroni con mano ferma, e l'immagine di quella donna così decisa destava in lui un piacere inclassificabile.
    Dritto stava dinnanzi alla sua fronte il dardo armato sulla balestra; scattò un pensiero nell'inconscio di Candelabro: doveva forse avere paura? Forse doveva mostrarsi spaventato, intimorito, ma come manifestare tutto ciò?
    Uno dei classici rompicapo intricati di Kandrel Kandelier: emulare gli atteggiamenti dei vivi, pur essendo ormai lontani da essi.
    Scavò nella memoria, e ripensò al comportamento della tenera fanciulla canterina poc'anzi terrorizzata dal gobbo. La poverina sobbalzò, e contemporaneamente tremava.
    Si trattava in fondo di una meccanica semplice: sobbalzo e tremolio, forse troppo semplice.
    Attore -pure pessimo- lì per caso, Kandrel improvvisò il suono del trasalimento, ma confuse l'ispirare con l'espirare, così venne fuori un sospiro di sollievo, completamente fuori contesto.
    Per non parlare del tremolio, che al posto di essere rapido e frequente, sembrava più un ondeggiare lento ed insensato, un vero disastro.

    “primo”

    Kandrel allontanò la mano dal volto, rivelando un'espressione assente, seria e smorta, come se si fosse spento del tutto. Le palpebre alternavano il loro movimento in maniera asincrona, poggiando saltuariamente sulle occhiaie tremendamente violacee. L'aspetto addormentato di Candelabro celava il suo essere perfettamente sveglio, egli ormai non sentiva più il bisogno del sonno, in tutte le sue forme.

    “cosa ci fai qui a girare sotto la pioggia, sopratutto se sembri un maggiordomo;”

    Kandrel rispose lentamente, in maniera piatta:

    “Il mio padrone ha richiesto la mia presenza in questo posto, perché...il mio padrone...”

    Volse lo sguardo verso il cielo, poi lo deviò verso il paesaggio al di là del sentiero, come assorto in un giro infinito di pensieri.
    Sgranò gli occhi, mantenne la bocca socchiusa, la muoveva lievemente senza produrre alcun suono, ma sembrava voler dire qualcosa.
    Era come se un sottile percorso si fosse per un attimo illuminato nei meandri della sua mente, che collegava l'Io del presente con un Io remoto, indefinito.
    Quello era uno degli atti più umani, più da “essere vivente” che Kandrel potesse manifestare, ma era ovviamente un'azione involontaria. Il silenzio del momento fu spezzato da un tuono improvviso, si fece di nuovo buio nel Memento di Candelabro, che riprese il discorso:

    “Il mio delizioso padrone -di cui non son degno fare il nome- aspettava una consegna prevista per qualche ora fa, ma non ha ricevuto nulla, così mi ha saggiamente,categoricamente, splendidamente...”

    andò avanti per un po' con quel minestrone di avverbi...

    “...ordinato di tenere d'occhio le carovane qui passanti.”

    Alla seconda domanda della donna Kandrel rispose vagamente con un:

    “Mi si perdoni, ero preso dai miei pensieri.”

    I fuochi del candelabro alternavano la loro intensità luminosa, rivelando talvolta la sconfinata solitudine che circondava i due interlocutori. Che ambiente ideale per Kandrel Kandelier!
     
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    Invece di prendere uno spavento e sbrigarsi subito a dire chi fosse, quella "cosa" sembrava stare rimuginando nella pazzia della sua mente.
    Mentre Vixenna teneva con la sinistra la balestra, pronta a scoccare, e con la destra mise mano all'elsa della propria spada, quel tipo mostrò finalmente il suo volto: sonnolento e violaceo.

    Questo è decisamente un pazzo...

    "Quindi fammi capire, il tuo padrone doveva avere una consegna, non ha ricevuto nulla e ha mandato un gobbo sotto la pioggia? O il tuo padrone è un bastardo, oppure siete egualmente pazzi tutti e due..

    Siccome non penso che quel pacco arriverà a breve...portami da lui; ho proprio bisogno di un riparo per la notte..e penso che tu sappia già cosa dovrai rispondere.."
     
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    Il cielo, anzi no, l'ambiente tutto era come se stesse seguendo quello strano susseguirsi di eventi e di discorsi, tant'è che al termine della frase della donna il picchettar della pioggia si fece molto più intenso, quasi penetrante. Kandrel soddisfò immediatamente quel “penso che tu sappia già cosa dovrai rispondere...“ con un profondo inchino, e con un cenno d'obbedienza accompagnato dalla testa. Seguirono subito un tuono, e la luce intensa di un lampo, poi di nuovo buio: quanta disapprovazione da parte del cielo!
    Il gobbo maggiordomo si girò lentamente verso la direzione da prendere -quella da cui era venuto-, e fece quattro passi in avanti, poi si fermò. Due bestiole -forse lupi- sbucarono dall'orizzonte, e si avvicinavano ringhianti ai due individui. Kandrel si volse verso la viandante.


    “Nel caso in cui il cavallo si rifiuti di proseguire, non ne rimanga stupita la mia galoppante signora, poiché è per causa di questo povero maggiordomo che ai più nobili animali, come il suo grazioso quadrupede, repelle camminarvi accanto.”

    Dopo aver pronunciato ciò, Candelabro abbassò lo sguardo verso il muso del cavallo, e iniziò un mezzo sorriso. Tornò poi a guardare i due lupi che sbarravano il sentiero, e completò la sua ilare espressione a trentadue denti, seguita da un notevole sgranar d'occhi. Le bestiole troncarono di netto il loro ringhiare, e scapparono via.

    Kandrel sussurrò, quasi ironico: “Ah...quale mia colpa?”, poi tornò serio.

    Avanzò, seppur con passo moderato, dando le spalle alla donna; le fiamme del candeliere aumentarono il loro lumeggiare.
    D'un tratto, l'occhio sinistro di Candelabro orbitò di 180 gradi, puntando verso l'interno del cranio. Questo piccolo trucchetto magico garantiva al maggiordomo una visione sia frontale che posteriore, per tenere traccia della propria “padrona”, e assicurarsi che “andasse tutto bene”.
    In religioso silenzio, il gobbo proseguiva con calma, obbediente come un cagnolino; sentiva come un metaforico guinzaglio attorno al suo collo, e ne traeva piacere...un piacere insaziabile.


    La luna, impaurita, approfittò della stasi del momento, per nascondersi fra le nubi, come un bambino che ha appena ascoltato una storia dell'orrore, e si rifugia intimorito sotto le coperte.
    La parete montana era teatro delle ombre, che si stagliavano su essa come attori dietro il sipario.
    A separare palcoscenico e platea vi stava lo strapiombo, i cui confini erano pericolosamente nascosti dall'espandersi della nebbia.
    Se tale tetro scenario avesse avuto spettatori, questi ne avrebbero assaporato la tensione e il mistero, fino a tal punto da desiderare di non trovarsi mai in una situazione del genere.
    Fra un capitolo e l'altro della storia dell'universo stava isolato quel ritaglio di mondo, così lento nell'evolversi, da sembrare senza tempo.

    Edited by Sceptius - 8/9/2020, 13:19
     
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    La pioggia che si faceva più intensa, i tuoni e sopratutto il lessico usato da quel gobbo rendevano la situazione spettrale..per un ragazzino; Vixenna non batteva ciglio, e si era limitata a tenere il suo cavallo per le briglie, in modo da averne il controllo; quell'aneddoto sugli animali, con seguenti lupi che scapparono con la coda tra le gambe..non erano cose di cui non tener conto.

    Seguiva le fiamme del candeliere per poter tracciare i movimenti del gobbo: sarebbe riuscita a scroccare un tetto sopra la testa per quella notte, grazie a questo ridicolo...servo, se così si può chiamare.
     
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