Per un pugno di dobloni

02 fashar 1127 d. G.

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    Vis Revar L'Estat

    Una penombra caliginosa strisciava lungo la costa, sfumando nelle intorbidite tinte dell'acqua. Il sapore della roccia schiacciava quello del sale, relegandolo ad una nota soffusa.
    Di porti ne aveva visti tanti, più di quelli che avrebbe ammesso a chi gli avesse chiesto. Ciascuno aveva un suo dettaglio innato, una caratteristica che lo separava dagli altri. E quello in fronte alla sua prua, appena puntellato da qualche manciata di casupole a cipolla, aveva un grande respiro. Gli mancavano i polmoni per farne qualcosa di concreto, il che era davvero un peccato.
    Non era che una condizione passeggera, tuttavia.
    Lasciando andare la balaustra dell'albero di trinchetto, Vis fece un passo indietro scalpicciando sul fasciame del ponte. Prese un respiro, imponendo ai suoi polmoni di fingere quell'atto così naturale per i viventi, e incrociò le mani dietro la schiena.
    "Pierre?"
    Il nano schioccò la lingua e mormorò qualcosa sottovoce. "Ah, mi avete sentito. Un giorno vi prenderò di sorpresa."
    "Un'impresa alquanto ardua" gli fece cenno di avvicinarsi. "Considerando che il tuo passo è come un rullio di tamburi..."
    "Mia sorella Nin-Nìz dice che io ho i piedi di un ballerino."
    "Tua sorella è una donna intelligente, ma penso che con ballerino intenda gli Spaccapietre della Danza del Pachiderma."
    "Eh!" sbottò il suo primo ufficiale. "Nessuno è perfetto."
    Su quello, pensò Vis Revar ridacchiando tra sé e sé, poteva avere qualcosa da ridire.
    "Cosa vuoi dirmi?"
    "Che mi sembra una secca per pescherecci."
    "Perché, non lo è?" Con rispetto parlando, era una descrizione adatta.
    Il nano si grattò il mento. "Allora perché siamo qui? Ci sono porti più ricchi, capitano."
    "Certo, ma questo ha delle potenzialità. Vedrai."

    Edited by Maððie - 1/3/2020, 18:55
     
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    Il tè era caldo, appena fatto. Le solleticava le narici con con il suo delicate profumo di canella.
    Adalia lo sorseggiò, sbocconcellando nel mentre un paio di biscottini. Prima o poi avrebbe dovuto rendere omaggio al signore di Dolor Amorth, se lì sapevano davvero preparare quel genere di delizie; eppure era una città di non morti. Mandare qualcuno a curiosare e fare acquisti era stata la migliore idea che avesse avuto… negli ultimi quindici giorni, al massimo.
    Un bussare sommesso la sottrasse a quelle riflessioni.
    — Avanti!
    Malina, la sua assistente, cameriera personale e guardia del corpo, entrò nella stanza. — Una strana nave è appena entrata in porto, vostra altezza.
    — Definisci “strana”.

    Malina ci pensò su. — Enorme, piena di chincaglierie e con… le vele nere.
    Vele nere? Chi diavolo andava in giro con delle vele nere? E come aveva fatto a navigare fin lì? Doveva essere un drow… ma come accidenti era riuscito a portare una cosa del genere fino alle loro coste? A stento riuscivano a entrare i pescatori! — Voglio vederla con i miei occhi.
    — Naturalmente, vostra maestà. Vi faccio preparare la lettiga.
    Adalia annuì. Attese che uscisse, poi tornò alla sua colazione. Ebbe tutto l’agio di finire il suo tè, prima che Malina tornasse con la notizia che la lettiga la attendeva fuori dalla sua dimora.
    Quattro maschi robusti la sorreggevano. La aiutarono a salire e tirarono le tende, poi si misero in moto.
    Vandyra scorreva placida al di là dei veli, con le sue stradine caotiche e le case disposte in file ordinate. La gente si fermava a guardarla, cercava di farle almeno un cenno di saluto, pur sapendo che non avrebbe risposto. Il meglio che potevano aspettarsi era un sorriso.
    Il porto non era lontano. Quando la lettiga si fermò, il suo ondeggiare aveva appena iniziato a conciliarle la digestione. I portatori la girarono in modo che potesse studiare il veliero.
    Era davvero esagerato, perciò la domanda era: cosa ci faceva un simile mostro nel suo porto?
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    Edited by Maððie - 4/3/2020, 13:50
     
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    VIS REVAR L'ESTAT


    Se la Ner'verar poteva fare una certa impressione, con le sue vele nere e la polena atta ad allontanare lo sguardo dal rostro sommerso, il suo proprietario poteva farne una migliore. Segnalò al comito di mantenere l'equipaggio all'opera, ricevendo in cambio un silenzioso, ma visibile cenno d'intesa.
    Ottimo. Tra le persone che obbedivano e facevano poche domande, per non dire nessuna, i muti e i reietti erano proprio delle ottime scelte. Avere un soggetto fidato con entrambe le qualità era proprio una benedizione. Certo, la sua compagnia era tutto tranne che eccitante o informativa, ma non erano i motivi per cui l'aveva voluta nella sua ciurma.
    E poi cos'avrebbe avuto da dire una Nessuno proveniente da quel mortorio di Dolor Amorth?
    Con Pierre a seguirlo, Vis Revar discese la passerella di sbarco e mise piede sul molo. Per l'occasione aveva scelto degli stivali alti freschi di lucidatura, un paio di robusti calzoni scuri con una stoffa rossa tesa ad oscillare al fianco destro, accanto al fodero della spada. All'impugnatura della stessa aveva legato un paio di pendenti; le loro catenine erano d'argento e si aggrappavano a dei dischi dal taglio perfetto, attraversati in centro da una singola linea retta.
    Su di un farsetto a quadruplo allaccio aveva indossato un mantello a falde aperte. Non aveva preso con sé l'elmo di Id'avy Q'toll, preferendo un più consono cappello piumato a falda larga.
    In cima alla spianata del porto, in sé un più che buon punto d'osservazione, c'era una lettiga. I veli erano stati distesi per coprire la sua occupante, ma la scorta e i portatori non erano qualcosa che una qualsiasi vivandiera poteva permettersi.
    Ed era ottimo.
    "Pierre?"
    "Sì, mio capitano?"
    "Comportati secondo decoro."
    Il nano storse la bocca. "Quando mai non l'ho fatto?"
    "C'è stata quella volta con l'alveare e l'asino che..."
    "Un caso! Quello è stato solo un caso!"
    Certo. "Fai sbarcare i doni."
    Risalita la passerella, Pierre cominciò ad abbaiare istruzioni ad un gruppo di drow dell'equipaggio. Seguendo i suoi ordini, le anime della ciurma cominciarono a disporre sul molo un numero di grandi casse di legno scuro. Una a tre braccia dall'altra, con spazio in mezzo per camminare e osservare.
    L'occhio avrebbe voluto la sua parte.
    "Luhn Zylvara?" chiamò Vis, incrociando le mani dietro la schiena. I monili dondolarono, espandendo una nota musicale densa e profonda. Tra l'equipaggio, una meticcia mezza elfa e mezza drow si fece avanti. Era la scriba e tesoriera di bordo, ma per quell'occasione avrebbe fatto da messa diplomatica. Costume offensivo? Poteva essere, ma alle masse sarebbe piaciuto.
    Esotico? Oh, sì.
    "Annuncia che offro dei doni alla signora di questa giovane e promettente città. Certamente può mandare i suoi servitori a prenderli, ma se ella vorrà mostrare tanta grazia da venire ad osservarli di persona, ne riceverà uno in più, che ho strappato alla tua gente con le mie stesse mani."




    I doni sono:

    3 casse di frutta fresca
    2 casse di finissima carne di cervo
    1 cassa di perle.
    1 cassa di VINOH
     
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    Qualcuno stave scendendo dalla nave. Drow, come previsto. Stavano portando sul molo delle casse dall’aria piuttosto pesante, istruiti da quello che sembrava a tutti gli effetti un nano. Anche senza vederlo bene (e senza sentirlo, per grazia divina), la sua statura non lasciava adito a dubbi.
    Una figura si staccò dal gruppo per venire incontro alla sua lettiga. Era una mezzelfa, ma alcuni dei suoi tratti avevano qualcosa di drow.
    Comunque una pallida. Come osava il capitano mandarle una di quelle?
    Ma le parole che le uscirono di bocca fecero stillare la questione in secondo piano per un momento. A sentirla, il capitano era intenzionato a offrirle le casse che vedeva sul molo.
    Il che era ovvio, o non le avrebbe fatte scaricare.
    Se avesse fatto loro la grazia di accostarsi, avrebbe aggiunto un dono ulteriore, strappato agli elfi.
    Adalia soppesò l’offerta più a lungo del necessario, solo per assaporare il silenzio e la tensione di quell’attesa. Sapeva a quale gioco stesse giocando il capitano. Avrebbe potuto non cascarci e accettare l’offerta mandando i suoi maschi a prendere le casse, ma come rinunciare a qualcosa che gli elfi si erano visti estorcere con la forza? — Facci strada, ragazza. — le ordinò, senza uscire dalla lettiga. Non ce n’era bisogno, ma scegliere di accettare l’invito con un imperativo avrebbe dato più peso alla sua autorità.
    La mezzelfa obbedì.
    I portatori si misero in moto dietro di lei.
    Solo quando fu al cospetto delle casse diede ordine che la mettessero giù e scivolò oltre le tende con grazia. Era un bersaglio facile, esposto, in quella situazione, ma nella sua città nessuno avrebbe osato alzare un dito contro di lei.
    Sarebbe stato bene che quei doni valessero il suo tempo, comunque.
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    Edited by Maððie - 5/3/2020, 00:06
     
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    VIS REVAR L'ESTANT


    Luhn Zylvara ritornò precedendo la lettiga. Eseguito il suo compito, la meticcia si fece da parte, accostandosi alla fiancata della Ner'verar. La regina era scesa dalla lettiga, posando i suoi tacchi sul molo.
    Considerando la mole di Vandyra, capo-villaggio sarebbe stato un termine più atto ad indicarla, ma non l'avrebbe fatto andare lontano. Sì, quel luogo non era certamente Ovtheerdamm o Vyhndenburg, ma non serviva che lo fosse. Per il momento, quantomeno.
    Stare davanti alle casse sarebbe stato scortese, pertanto Vis Revar si mosse alla loro sinistra. Era venuta per quelle, prima che per lui, quindi che avessero pure la massima attenzione.
    Se non fossero state sufficienti, poi, avrebbe sempre potuto prenderne delle altre...
    Attese ancora un momento, per rendere indietro il tempo che la Regina aveva impiegato ad accettare il suo invito. Troppo sarebbe stato offensivo e fare frettolosamente avrebbe dato una scorretta impressione. Come aveva detto qualcuno in un libro strano, la virtù stava nel mezzo. Con i suoi occhi rossi sulle casse e la scorta che l'attorniava, la Regina era dove Vis Revar la voleva.
    Si tolse il cappello con un cenno più colorato del necessario, facendo caso a far oscillare i monili agganciati alla spada; anziché una nota pesante, questa volta ne alzarono una sottile, più cristallina di quello che era possibile considerando le apparenze. Con il cappello tenuto basso, le rivolse un buon inchino.
    "Onorato dall'attenzione che ho così ricevuto" disse, riavendosi dal cenno di rispetto, "porgo alla nobilissima regina di Vandyra questi doni." Se avesse detto regina della città, sarebbe sembrato troppo lusinghiero.
    Svirgolò la destra alle prime casse da sinistra. Per aprirle aveva selezionato un quartetto d'anime della ciurma, tutto di Drow. I più rispettabili e dignitosi tra i suoi razziat... coraggiosi marinai d'arme. Rimossero i blocchi, sollevando le assi per rivelare dei cospicui assortimenti di frutta adagiata su di un letto di ghiaccio.
    Ciliegie, bacche di joqile, pesche-noci, banane, limoni e arance. Portare della frutta fresca tanto a nord, attraverso le rotte delle baleniere, sarebbe stato impossibile con mezzi normali, ma un piccolo incantesimo di conservazione, aiutato da una stiva ben organizzata, poteva andare molto, molto lontano.
    Lo stesso era stato fatto per le altre due casse, piene di finissimi tagli di carne di cervo. Non ne avevano molta da quelle parti, quindi avrebbe sollevato una buona impressione. La cassa delle perle e quella dei vini restavano chiuse, in attesa d'essere aperte dall'anfitriona. Gliele offrì con un cenno.


    Vis Revar invita Adalia Synthe a farle aprire.
     
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    Il capitano della nave era alla sinistra della casse. Si tolse il cappello, quando la vide, e le diede il tempo di studiare i doni ancora sigillati. — Onorato dall'attenzione che ho così ricevuto, porgo alla nobilissima regina di Vandyra questi doni. — disse, lusinghiero al punto giusto. Era vestito con una certa decenza, questo doveva concederglielo; peccato avesse gli occhi azzurri.
    Adalia sorrise. Voleva giocare? Be’, che si accomodasse. Poi non doveva lamentarsi, però, di uscirne sconfitto.
    Il drow, che ancora non si era presentato, diede ordine di aprire le casse.
    Le prime due contenevano frutta fresca e carne.
    Adalia girò intorno ad entrambe. Sembrava cibo vero. L’odore era autentico, se non altro. Conservare quelle prelibatezze doveva essere stato complicato. Solo per offrirle a lei? Gentile da parte sua.
    Ma il capitano non aveva finito. Sentiva forse di aver ottenuto la sua attenzione, perché le offrì di aprire con le proprie mani le due restanti.
    Adalia inarcò un sopracciglio. Se non fosse stato inelegante, gli avrebbe riso in faccia. — Kamal?
    Uno dei portatori della lettiga volse il capo verso di lei. — Sì, vostra maestà?
    — Aprile. — Non esisteva che lo facesse da sé. Chissà dove le aveva poggiate, chi le aveva maneggiate. Plebaglia, per quanto ne sapeva.
    — Sì, vostra maestà. — Il portatore lasciò i suoi compagni a sostenere la lettiga e si avvicinò alla cassa. Si chinò e la scoperchiò, facendosi di lato per permetterle di vedere il contenuto.
    Perle. Di squisita qualità, anche, a giudicare dalle dimensioni a dalla lucentezza.
    Adalia ne prese una e se la rigirò tra le dita, per poi farla ricadere tra le sue compagne.
    Il portatore aprì la seconda cassa.
    Conteneva una bottiglia. Era quello il dono strappato agli elfi? Una bottiglia… di cosa? Chi le diceva che non fosse avvelenata? Certo, non aveva nemiche che potessero desiderare la sua morte, ma perché non prevenire?

    Tutti doni interessanti.

    concesse, melliflua, con un sorriso quasi felino.

    Capitano…?

    Non gli avrebbe rivelato il proprio nome finché non avesse udito il suo. Se fosse stato all’altezza delle sue aspettative, aveva in serbo un’altra sorpresa.
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    "Tutti doni interessanti" disse, dandosi quel tocco di sufficienza che era dovuto. Non era consono che si mostrasse troppo interesse. Al contempo, non li aveva ignorati. "Capitano...?"
    "L'Estant. Vis Revar L'Estant." Avanzò d'un passo, oltre la cassa da cui Adalia I aveva fatto prendere la bottiglia di vino. "Proprietario e maestro della Ner'verar. che vedete qui all'ancora nel vostro porto."
    Gli occhi del corteo seguirono il profilo della nave, che spuntava come un titan-natio tra le barchette da pesca e i piccoli diporti. La Ner'verar era una khymme nave, ecco cos'era. Con le sue quaranta iarde di lunghezza, il ponte dei remi e le vele quadre, poteva andare ovunque, carica di merci o carica di morte.
    Alle volte, entrambe.
    "La sola del suo genere." Cos'era la non-vita senza una stilla di rischio? "E l'ho portata qui, attraverso le spume del mare del Nord e le gole di questo fiero dominio sotterraneo, perché assuma con onore il ruolo di protettrice di questo porto dai tanti nemici che lo circondano."
    Come un simile mostro fosse riuscito ad entrare lì, in un bacino pensato per umili diporti, doveva essere una prova più che sufficiente dell'abilità del suo capitano.
    Fronteggiando la Regina, Vis Revar s'inchinò.
     
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    — L’Estant — rispose il capitano. — Vis Revar L’Estant. — Fece un passo Avanti, oltre la cassa di vino. — Proprietario e maestro della Ner'verar. che vedete qui all'ancora nel vostro porto.
    Gli occhi di Adalia salirono ad ammirare quella belva che solo la maestria del suo comandante (e, che la dea la perdonasse, del suo equipaggio) aveva permesso di condurre in porto. Doveva essere molta più di quella che davano a vedere, ma non lo avrebbe riconosciuto ad alta voce nemmeno per tutto l’oro di Linelor. Non ancora, almeno.
    — La sola del suo genere. E l'ho portata qui, attraverso le spume del mare del Nord e le gole di questo fiero dominio sotterraneo, perché assuma con onore il ruolo di protettrice di questo porto dai tanti nemici che lo circondano.
    Adalia inclinò il capo. Malgrado la grazia di quel vezzo, non c’era alcuna morbidezza nel suo sguardo, né nel suo sorriso. Protettrice di un pugno di capanne. Benché la chiamasse una città, almeno a se stessa non poteva mentire sull’estensione del suo dominio.

    Nemici sui quali sembrate più informato di noi.

    lo pungolò, con un sorriso quel tanto beffardo perché si intravedesse, con un po’ d’attenzione. Come il fatto che parlasse di sé al plurale.

    Gradiremmo ce ne parlaste più approfonditamente. A pranzo, magari.

    Del resto, aveva portato tutto il necessario per imbandire una degna tavola. E, se i suoi intenti non erano nefasti, non avrebbe rifiutato di sorseggiare per primo quel vino.

    Seguiteci: vi mostreremo la via.

    Risalì in lettiga e chiuse le tende, mentre i suoi maschi si rimettevano in moto. Non si volse a controllare che la seguissero: diede per scontato che le obbedissero, come chiunque sotto la superficie.
    Giunti alla sua dimora, si fermò solo un momento a istruire Kamal, prima di entrare. — Mostra loro dove portare le casse e gli alloggi della servitù. Di’ a Malina di far preparare un bagno per il capitano e un degno cambio d’abiti. E di mettere al lavoro le cucine.
    — Sì, vostra maestà.
    Compiaciuta dall’unica risposta possibile, Adalia entrò e si ritirò nelle proprie stanze, in attesa che la chiamassero per riprendere la conversazione dove l’aveva lasciata.
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    "Nemici sui quali sembrate più informato di noi" disse la Regina. Sulle sue labbra c'era l'accenno di un sogghigno, sfumato con una goccia di beffarda postura. "Gradiremmo ce ne parlaste più approfonditamente."
    Chi non l'avrebbe fatto? Non serviva per forza credere al primo estraneo capitato al porto -se quella parola poteva essere usata per descrivere il molo- per considerare meritevole d'attenzione, almeno un po', una sua parola su possibili nemici. Alla fine, erano... ah, sì.
    Affari di stato.
    "A pranzo, magari."
    Aveva vinto un invito.
    "Voi mi rendete un grande onore così..." C'erano due paroline magiche per sfiorare l'anima di una persona. Per alcuni era "per favore". Per altri era "ti pagherò". Per una nobile Drow con sogni più grandi dei mezzi di cui disponeva? "Vostra Grazia."
    La sentì richiedergli di seguirla e le offrì un inchino di replica. Salì sulla sua lettiga e s'avviò, senza aspettarlo. Andava più che bene.

    Risalita la passerella di sbarco fino alla cima, Vis schioccò un saltello sul ponte della Ner'Verar. Ashiura alzò il capo dal timone, richiamata all'attenzione dal sospiro dei suoi stivali sul legno. Non avere un senso amplificava gli altri e se non si poteva parlare, perlomeno si era del materiale per essere un buon ascoltatore.
    "Tieni d'occhio la mia nave. Non scacciare i curiosi" le disse, inanellando un segno dopo l'altro con le mani. "Ma non farli salire a bordo."
    Avvicinata una mano alla bocca, Ashiura rispose con una sequenza di gesti veloci, ammantati da quella precisione consumata che avevano gli utilizzatori abituali di qualcosa. "Sarà fatto. Se salgono posso ucciderli?"
    "Ovviamente no."
    "Stavo scherzando, mio immortale signore."
    "Non dirlo" le ordinò usando il palmo della sinistra come base. "Non sia mai che qualcuno legga."
    "Certo."
    Lasciando la comito ai suoi compiti, Vis schioccò le dita all'indirizzo di Luhn Zylvara: "Tu verrai con me e Pierre."
    "Lo ritenete saggio?" Strinse le mani dietro la schiena, il capo appena chinato. "Questi raccogli-sale potrebbero piacevolmente linciarmi."
    Era un rischio che era disposto a correre. "Sei una prova esotica dei miei viaggi." Le sollevò il mento con un dito per guardarla negli occhi. "Non lo faranno."
    "Come comandate voi."
    "Très bien, alors!" esclamò, battendo le mani. Diede le spalle all'interprete e prese il controllo del ponte. Pierre era tornato dalla stiva, chino sotto il peso di un cofanetto di legno di noce. Lo teneva per le maniglie laterali, sagomate di motivi elfici. Perché rovinare un bel contenitore, alla fin fine? Con lui veniva Dùsh, ogni suo passo accompagnato da un sonoro ticchettio d'osso picchiato sul legno.
    "I miei ordini, capitano?" domandò lo scheletro, issandosi sull'attenti. Aveva messo mano ad un arpione e in spalla, per così dire, si era messo un arco ricurvo e una faretra. Era divertente da vedere.
    "Monta la guardia. Obbedisci agli ordini di Ashiura e..."
    Un tramestio di passi si separò da un assembramento della ciurma dedito a calare le vele. Girandosi, Vis si lasciò sfuggire un piccolo sospiro. Non era evitabile, vero? "Dimmi, Radam'theys..."
    "Me è contento che siamo arrivati!" esclamò il drow, sorridendo con innocenza. Era una figura singolare, alto un piede e mezzo più della media dei maschi Drow e solido come un bue. Se non fosse stato familiare con i suoi genitori, la Dea avesse in gloria le loro buone anime, avrebbe detto che era l'unica prole riuscita tra una lavandaia rincitrullita ed un gigante. "Ma me non sa che faccio, ca-a-a-pitano! Eh, pitone..."
    "Tu..." gli mise una mano sulla spalla, allungandosi per raggiungerlo. "Resterai di guardia qui, d'accordo? E aiuterai a tirare giù le vele."
    Il Drow s'illuminò. "Me piace tirare le vele!"
    "E non scendere a terra.
    "Nuh."
    "Non scendere, ci potrebbero essere schiavisti."
    "Allora me può..."
    "Sì" lo interruppe, alzando una mano per avere la sua attenzione. Radam la seguì come avrebbe fatto con una farfalla, poi cominciò a vederla come tale. "Dopo che avrai calato le vele, potrai toccare tutto il legno che vorrai."
    "Yeeeeet! Me piace toccare il legno!"
    "Lo so, ragazzo. Lo so."
    "Il capitano sa tutto!"
    In mancanza di mezzi termini, si poteva solo accettare che Radam fosse nato con un terzo di cervello in meno degli altri. Un vero peccato, perché tra la statura e l'aspetto da adone, sarebbe stato il giocattolo preferito d'ogni khymme. A nessuno piaceva uno sciocco, purtroppo per lui. "Stai a guardia della nave, ascolta Dùsh e Ashiura. E non saltare in acqua."
    "L'acqua è fredda" borbottò Radam. "Nave è calda. Come mamma."
    "Era una brava Drow, sì."
    Precedendo Pierre e Luhn Zylvara, Vis sbarcò di nuovo. Alla volta del palazzo, dunque. Aveva un pranzo a cui partecipare. Il genere di evento perfetto per il Dottore...
     
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    — Voi mi rendete un grande onore così… Vostra Grazia. — Vis Revar L’Estant si inchinò.
    Adalia non si degnò di controllare che la seguisse. Non ne aveva motivo: non era così che era stata educata. Raggiunse quella sua dimora che solo al confronto con le abitazioni circostanti poteva passare per una dimora gentilizia, ma non certo per una reggia e istruì Kamal perché riportasse i suoi ordini a Malina. Poi si ritirò nelle sue stanze.
    Le scartoffie che aveva da parte non avrebbero aspettato solo perché lei aveva voglia di saperne di più su quel presunto Capitano e all’ora del pranzo mancava ancora un bel po’. Abbastanza perché si liberasse degli impegni di quel giorno e decidesse di prendere il tè nel salottino. Prese con sé La chiave degli oceani (che, casualmente, raccontava proprio di lupi di mare) e si accomodò sul divano.
    — Desiderate altro, vostra maestà?
    Adalia alzò lo sguardo verso Malina. Solo che quel Vis e i suoi non la derubassero di tutto ciò che non era inchiodato alle pareti e che si dessero una pulita prima di mettersi a tavola, ma non osava di essere troppo fiduciosa su nessuna delle due questioni. — Tienimi solo aggiornata sul nostro… ospite.
    — Il capitano L’Estant?
    Annuì.
    — Sarà fatto, vostra maestà. — Malina si congedò con un inchino e tornò nell’ingresso per accogliere L’Estant e il suo seguito. Al vederlo seguito da un nano e da una mezzelfa avrebbe inevitabilmente storto il naso, ma si sarebbe fatta da parte e li avrebbe accolti formalmente, come si confaceva alla maestra di casa di una vera e propria corte. — Sua maestà mi ha dato rodine di farvi preparare un bagno e un cambio d’abiti, capitano. Qualora lo desideriate. Per eventuali altre richieste, farò del mio meglio — avrebbe detto, parlando come se gli altri due non ci fossero.
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    Vis Revar si lasciò il porto alle spalle. Pierre e Luhn Zylvara lo seguivano, mantenendo un buon passo di distanza. Erano attendenti, non guardie del corpo. Di quelle, in tutta onestà, non ne aveva bisogno.
    E poi, mostrarsi con una guardia personale avrebbe dato una diversa idea alla sudditanza di quel porticciolo. Come aveva detto il buon Pierre, di certo Vandyra non era Vyhndenburg o Naus Rehennmanau. Se l'avessero traslata metro per metro nel bacino artificiale della prima, ci sarebbe stata intera lasciando ampio spazio a tutto il resto del naviglio ordinario.
    Ma andava bene che fosse com'era. Il suo respiro contava di più della sostanza, al momento. Le capitali avevano dei polmoni diversi dalle città di provincia, più ampi e... assetati, per così dire, dei lussi e delle glorie degli imperi. Una volta che si abituavano al loro status, per nascita o per forza di cose, non era possibile tornare indietro.
    Squadrando le pigre onde che battevano sui pali del molo, Vis Revar sogghignò. La più alta non avrebbe soddisfatto nemmeno il primo dei dilettanti dello allainalla, ma il Mare del Nord aveva buone onde e decenti banchi di ghiaccio. Sarebbe stato interessante cavalcarle, più tardi. Chissà, magari l'arte sarebbe piaciuta alla Regina.
    "Trovi più allegria in una miniera..." borbottò Pierre, occhieggiando il bancone di una piccola vendita. Erano una coppia di Drow, un maschio e una femmina, con una manica di marmocchi che li aiutavano. In vendita mettevano piccole aringhe impalate su bastoncini di legno, polpi in frittura e una manciata di pentole piene di cozze in acqua salata.
    Accostandosi, Vis staccò un bastoncino dal bancone. Lo rigirò un paio di volte, saltando da una striatura di frittura all'altra. Prima che la venditrice potesse chiedergli qualcosa, Vis si appoggiò sul bancone. "Ho sentito che il tonno si presta bene."
    "Eh, a trovarli dei tonni..." commentò il maschio, impegnato a cucinare un'altra mandata di cozze. Se avesse avuto lo stimolo della fame, avrebbe perfino potuto trovarle decenti, almeno dall'odore.
    "Si trovano in mare aperto, fuori dalla grotta. Una buona pesca, se devo essere sincero."
    La femmina si piantò una mano sul fianco. "Sei venuto da lì?"
    "Siete" la corresse, sorridendole mentre la guardava negli occhi. Rossi, umili e bassi.
    Classici.
    "Siete, sì..." mormorò lei, scuotendo la testa. "Non so a cosa stavo pensando."
    "A quanto sarebbe interessante provare questi bastoncini con il tonno, forse?" le suggerì, distanziandosi dal bancone. Bloccò la mano d'uno dei suoi marmocchi. Onore al suo coraggio. Alcuni come lui coglievano che era diverso e avevano paura. La dea apprezzava i piccoli, diceva qualche sacerdotessa. Le femmine più dei maschi. "E che provare a derubarmi potrebbe essere un'orribile, orribile idea."
    Il bambino scoprì i denti in un sogghigno da mascalzone. Lo lasciò andare, schioccandogli una moneta di rame nella mano. "Per la scaltrezza, piccoletto."
    Se lo castrassi, potrei tornare da lui da una decina d'anni per avere un capace scassinatore. Posso pensarci.
    "Non si può giudicare qualcuno dal tentativo, neh?" tentò il maschio.
    "Apprezzo l'intraprendenza. E sì, vengo dal mare." Accennò al porto con l'indice. La Ner'verar era visibile anche da lì, lungo la strada maestra per il palazzo reale. "Quella che vedete è la mia nave. Ho dei tonni nella stiva. Magari può interessarvi..."
    "Thenar" mormorò la femmina, avvicinandosi al suo compagno. "Io sono Dhyere."
    "Il piccoletto coraggioso si chiama Kosh'yaet?" scherzò Pierre, incrociando le braccia.
    La Drow s'accigliò. "Non lo dirò certo ad un nano!"
    "Ah, il solito razzismo..."
    "Pensateci" si rivolse ai coniugi, lasciando il loro stallo. "Potrebbe essere un buon affare."

    Proseguendo in leggera salita, attraverso due rami di piccole casette a cipolla, la strada lo condusse ai piedi di una dimora gentilizia più rilevante delle altre. A prima occhiata, era una villa con quattro torri di modesto calibro. Difficilmente poteva essere vista come la dimora degna di una Regina o di una Imperatrice, ma se la sarebbe fatta bastare.
    Per il momento.
    Pierre decise d'essere più vocale in merito. "Almeno non è una stalla di paglia!"
    "Non farti sentire."
    "Come Dolor Amorth! Una stalla di paglia dove i briganti si..."
    "Cosa ti ho detto?"
    "Sì, mio signore. Avete ragione."
    Prima o poi, tagliargli la lingua sarebbe stata una buona idea.
    Con le mani sui fianchi, Vis Revar adocchiò il portone. La Regina doveva aver incaricato una maestra di palazzo perché lo aspettasse, data la figura che attendeva accanto alla soglia. La raggiunse di buon passo, offrendole un cenno di rispetto con il cappello quando le fu innanzi.
    "Sua maestà mi ha ordinato di farvi preparare un bagno e un cambio d'abiti, capitano. Qualora lo desideriate."
    Che bel gesto.
    "Per eventuali altre richieste, farò del mio meglio."
    "Accetto molto volentieri." Perché presentarsi sapendo di spuma marina e sale? La seguì all'interno, scavalcando la soglia con una smorfia soddisfatta sul viso. Ah, se solo quella stupidaggine fosse stata vera...
    "Il suo nome?"
    "Malina" disse lei, guidandolo all'interno. Cominciare con una richiesta esosa non portava bene agli affari. "Il mio nome è Malina, capitano Vis."
    Stringendo i denti, il vampiro soffiò un respiro contrito. "Vis Revar, di grazia."
    La cameriera prese una strada a destra, sotto un basso arco di pietra nera. "Un nome... composito? Non sapevo ce ne fossero tra la nostra gente."
    Posso immaginare. "Il mare è vasto."
    "Venite da molto lontano?"
    C'era un pizzico di genuina curiosità nella sua voce.
    "Sì." Spiegare come e quanto sarebbe stato inutile, oltre che dispendioso. "Sono stato in molti porti."
    Rallentando per permettergli di stare al passo con lei, Malina congiunse le mani in vita. "E come avete fatto a scoprire la nostra città?"
    Ogni parola sarebbe stata riportata alla Regina, che lo volesse o no. Una bugia bianca sarebbe durata poco, mentre la verità avrebbe potuto avere un che di banale. "Ho sentito voci dalla madrepatria di un certo movimento. Ho seguito le tracce e sono sceso lungo le correnti."
    "Sua Grazia ha fondato Vandyra poco più di vent'anni fa."
    "Più che abbastanza perché molta gente non ricordasse immediatamente dove foste andati. Qualche lingua lunga c'era ancora."
    "E...?"
    Vis Revar si soffiò sulle unghie della mano destra. "E ora non ce ne sono più."
    "Non c'era niente da guadagnare dall'ucciderli."
    "Al di là di mantenere il vostro segreto?" le domandò, offrendole un sorriso convincente. "Se io potevo raggiungervi, poteva farlo anche qualcuno di meno degno."
    "Capisco. Non vi piace gareggiare, quindi..."
    "Al contrario! Mi piace arrivare primo." Una corsa contro avversari morti era più semplice e remunerativa di una contro delle noie da rimuovere in un secondo tempo. Guardandola negli occhi, Vis strinse le spalle. "Il mondo è di chi sa primeggiare, no? E servire la Regina era un onore che non intendevo lasciare a terzi indegni."
    "Sua Grazia era positivamente sorpresa dalla vostra nave."
    "Ciò mi onora."
    "Come siete riuscito a portarla fin da noi?"
    "Non navigo da ieri, Malina."
    Come punta, la cameriera assentì. "Certo. E' vero, non navigate da ieri. Mi chiedo a..."
    "A cosa steste pensando?"
    "Sì!"
    "L'esperienza fa sembrare facile quel che facile non è, lo capisco. Di certo sarà lo stesso per voi."
    Liberandosi di un sospiro, la cameriera si guardò attorno. "Non è un lavoro facile. Sua Grazia è molto pretenziosa, con pieno diritto d'esserlo."
    "Non lo sono tutte le Regine?"
    "Lei di più."
    Ottimo.
    "E questo ci porta a voi, capitano." Disse, fermandosi davanti alla soglia della sala da bagno. "Mi chiedo che cosa possiate volere da noi."
    "Cosa vuole ogni capitano?" le restituì la domanda, prendendo nota delle schiave che stavano preparando il bagno. "Io di più."
     
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    — Capisco. — Malina strinse le labbra. Quel maschio non le piaceva, sebbene ne comprendesse il potenziale. — Vi lascio al vostro bagno, dunque. Quando avrete finito, troverete vestiti puliti nella stanza accanto.
    Nella stanza adibita all’uopo, gravida di vapore, erano state disposte due tinozze (una profonda abbastanza per un maschio di regolare statura e una più piccola, di quelle usate per i bambini, ma nessuno aveva previsto la presenza della mezzelfa. Accanto alle tinozze erano stati disposti una mezza dozzina di saponi, olî profumati e teli.
    Uscendo, Malina raccomandò a una delle schiave di portare uno straccio anche a quella mezzelfa, giusto per non farla girare nuda, nonostante se lo meritasse. — Una tunica di lino grezzo basterà. — La carità l’avrebbe lasciata a qualcuna di più misericordiosa.
    Scese nel salottino dove Adalia si era ritirata e bussò.

    Adalia alzò lo sguardo dal libro. — Avanti!
    Malina entrò e si richiuse la porta alle spalle. — Il capitano L’Estant e il suo seguito si stanno rendendo presentabili. Come avevate previsto, si è portato dietro il nano.
    — E chi altro?
    — Una mezzelfa.
    Adalia arricciò le labbra. Era quella che il maschio aveva usato come messaggera? Perché teneva tanto a esibirla? Possibile che, per quanto albino (e impuro egli stesso?), avesse una relazione con lei? Avrebbe dovuto disfarsi di quella disgustosa creatura, o almeno di qualunque cosa avesse toccato durante la sua permanenza. — Raccontami.
    Malina sedette ai suoi piedi, usando i polpacci come sedile, e le riferì per filo e per segno ogni parola scambiata con il capitano L’Estant. — Vis Revar, a proposito, è un nome composito. Anche se immagino che non vi mostrerebbe l’espressione che ha riservato a me, se “sbagliaste”.
    — Forse no, ma saprebbe che è stato intenzionale proprio perché te ne ha parlato. Se non è un totale idiota, non avrà dubbi che tu mi stai riferendo ogni sua parola.
    — Naturalmente avete ragione, vostra maestà. Forse avrei dovuto usargli la stessa cortesia e spiegargli che la grazia la lasciate alle femmine smidollate della superficie.
    — Lascia che lo scopra da sé. Un guanto di seta può fare molto di più di un pugno di ferro. È per questo che il governo spetta a noi e non a loro.
    — Ma gli avete comunque concesso di sedere alla vostra tavola.
    — Sai che amo le storie e i marinai ne hanno sempre di belle.
    — Vado a controllare le cucine.
    — Non avvelenare i loro piatti.
    — Come vi compiace, mia regina.
    Adalia le concesse un ghigno e tornò all’arrembaggio (fin troppo libresco, per i suoi gusti) che avrebbe portato la capitana Evissa a incontrare il principe Cassim. Da almeno tre paragrafi era certa che quella fosse la sua nave. Non apprezzava la scelta di dare a un maschio natali così nobili e di fare della femmina una corsara, ma la possibilità che una del suo rango fosse fatta prigioniera da uno come Vis Revar le piaceva anche meno. Be’, era ancora da vedere come se la sarebbe giocata l’autore.
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    La tinozza era appena più piccola di quella che poteva dirsi una misura confortevole, ma non se ne sarebbe lamentato. Avrebbe dato alla sua Regina un'immagine sbagliata della sua persona.
    E poi, non era colpa loro se la statura comune di un maschio Drow non era la sua. In ogni caso andava più che bene per togliersi il sale dalla pelle e rendersi presentabile, quindi si spoglio e lasciò che le schiave versassero l'acqua calda. Una di loro, una creatura di poco conto pallida con capelli mori e piccole labbra pallide, lo stava fissando più delle altre.
    Conosceva quel genere di sguardi. L'aveva avuto anche la figlia della locandiera, quando aveva giocato contro le Lingue Lunghe. Per la Dea, l'aveva avuto fin quando la sua espressione non era cambiata in altro, ma gli eventi spiacevoli potevano capitare a chiunque, anche alle anime buone. Non ne avevano colpa, certo, ma lo stesso poteva essere di un uragano, o di un fortunale.
    Alla curiosa sfuggì di mano la brocca, dalla quale si allungò uno strale d'acqua bollente. Vis lo guardò piovergli sulla mano, arrossando la pelle in un batter di ciglia. Il fumo salì dalla pelle scottata, mischiandosi ai vapori del bagno.
    "Mi dispiace!" piagnucolò, cercando una pezza umida. "Non volevo!"
    "Oh, non è successo niente." Vis Revar nascose il braccio nell'acqua che aveva riempito la tinozza, fuori dalla sua vista. Il formicolio della scottatura sublimò nel niente dopo un secondo. "Un po' di acqua calda non mi ucciderà."
    "Ma, mio signore..."
    La guardò, attendendo che le sue compagne si rendessero indaffarate per evitare quella che dovevano pensare fosse la sua furia. "Non è successo niente, ragazza."
    "Certo. Mi ero preoccupata, mio signore, ma stavo sbagliando. Non serviva..."
    Ah, la mente degli umani! Era così malleabile. "Brava creaturina."
    Sì, era proprio come la figlia della locandiera.

    -Qualche tempo prima-

    Appoggiandosi ad un muretto, Vis adocchiò il vagabondare di Radam per il campo d'addestramento. Che non avesse capito perché l'aveva spedito lì era ovvio, ma non serviva che lo facesse. Bastava che girasse tra l'area di tiro dei balestrieri e gli anelli degli spadaccini, facendo del suo meglio per apparire confuso.
    Quando glielo aveva detto, il buon Drow si era grattato la testa, alquanto confuso dalla parola confuso. Congratulandosi con lui per l'ottimo lavoro svolto e promettendogli un biscotto alla fine, Vis l'aveva spinto fuori dall'armeria. E adesso era lì, sperduto in mezzo ad un migliaio di giovani leve chiamate alle armi da una khymme con troppi piani per il suo bene.
    La Prima Sopraintendente del campo lo vide. Chiamò a sè un mastro armigere e gli andò incontro, sbarrandogli il passo.
    "Questo mi sembra un idiota" borbottò il mastro armigere, appoggiando una mano alla guardia della sua spada. "Che cosa dovrei farmene?"
    "Questo è il suo lavoro. Ho visto un lavativo che andava a zonzo."
    Scosso il capo, il maestro armigere si avvicinò a Radam. "Ehi, spilungone! Benvenuto al campo d'armi di sua Grazia Iseera. Devi essere uno dei nuovi coscritti..."
    Ritirata l'illusione che aveva drapeggiato sul corpo del suo buon servitore, Vis Revar sogghignò pian piano.
    "Soldato, sei in completo disordine!" urlò il maestro d'armi, pestando sul terriccio. "Dov'è la tua armatura?"
    Radam si grattò la nuca. "Me non ha una..."
    Se gli fosse stato possibile, il capitano degli armigeri sarebbe diventato paonazzo. Il ritmo del suo cuore era esploso in avanti, cominciando a tamburellare un ritmo fittissimo. "Non ne hai una? E ti aspetti che io ci creda, larva?! La verità è..."
    Perfetto, lo sta distraendo. Se solo avesse abbassato un pochino quella squillante tromba di voce che si ritrovava!
    "...Che tu, larva, hai perduto un costoso completo di placche fornito da sua Grazia Iseera!" Avanzando di un passo, il maestro d'armi punse il petto di Radam con un indice inguantato. Il tono della sua voce era cresciuto fino ad essere qualcosa di terribilmente fastidioso.
    "Quell'armatura la rifonderai con LA TUA PAGA e per farlo, te l'assicuro, rimarrrai in questo maschio esercito per almeno cinquecento-e-trentasei anni!"
    Accostando una mano alle proprie tempie, Vis Revar strinse i denti. Chi aveva arruolato quella sordità in forma di Drow?
    "Che è il numero di anni che ti servirà per ripagare al completo una veste di placche e maglia a scaglie che hai perduto!" Quasi scattando sulle punte dei piedi, gli indicò un basso edificio ai piedi della scalinata che portava al livello superiore. "Fila subito all'armeria e fatti assegnare una nuova armatura, soldato, e poi torna subito qui!"
    Dopo aver battuto gli occhi, Radam si guardò attorno. "Va bene. Me va a prendere armatura."
    Girò i tacchi nella direzione opposta e cominciò a correre, subito inseguito dal maestro d'arme, che lo costrinse a girarsi e imboccare la direzione giusta.
    "Quelle dannate burocrati!" sputò l'ufficiale, piantandosi le mani sui fianchi. "Come si aspettano che l'invasione di Alantha riesca se continuano ad avere il braccino corto con i rifornimenti e le reclute?"
    Girandosi a guardare il gruppetto a cui aveva appena fatto un grande favore, Vis schioccò le dita. "Se volete seguirmi e invadere una buonissima taverna, questo è il momento adatto per tagliare la corda."
    Una delle reclute, quella che aveva affermato di sapere dov'erano andati gli esuli, occhieggiò la Soprintendente e il mastro armigero. Avevano ritrovato Radam a vagabondare in giro, fermandolo di nuovo.
    E distratti com'erano, non si accorsero della mancanza di una minore soprintendente e cinque giovani reclute.

    "Allora, amici miei!" esordì, cercando di mostrarsi il più gioviale possibile. Prese posto al tavolo, sostenendosi il capo con la mano. Gli altri quattro drow, capeggiati dalla Conduttrice Minore, si sedettero sugli altri sgabelli, facendogli opposta comunella. "Avevate detto che se fossi riuscito a sganciarvi dai mastini mi avreste detto quel che sapevate."
    "Beh" disse uno di loro, dal nome di Zyroh. "Prima facci bere."
    Il suo commilitone, Tyroh, schioccò le dita: "E devi offrire il primo giro!"
    Tu morirai per ultimo. Sorridendo, Vis Revar prese una ragazzetta cameriera per il laccio del grembiule e la spinse accanto al tavolo. "Oi, piccoletta. I miei commilitoni vogliono bere! Caccia fuori la birra migliore che hai! Un giro a tutti!"
    "Certo, mio signore"
    "E se hai fatto una torta..."
    "Una con il burro in crosta, mio signore... e ciliege in cima..."
    "Portamene una fetta e se sarà buona avrai un buon soldo."
    "Se solo potessimo bere ai Tre Boccali..." disse la Conduttrice minore, staccando un pezzo di pane da una pagnotta in centrotavola. "Lì hanno le birre da Oovtherdaamm..."
    "Secondo me non esiste."
    Dopo il primo giro, Zyroh e Tyroh ne pretesero un secondo. Accondiscendendo alla loro fastidiosa richiesta, Vis Revar notò il terzo commilitone, Vynoh, mescolare un mazzo di carte.
    "Partita? Se vinci, vuoteremo il sacco."
    "Avreste dovuto vuotarlo due pinte or sono."
    "E dai, vecchio mio!" esclamò Vynoh, stringendogli la spalla. "Lascia che gli eroi di Navira si divertano un po'!"
    Perché gli aveva scombussolato il cervello facendogli credere d'essere un suo amico di vecchia data? Avrebbe potuto scegliere un camuffamento che comprendesse meno fastidi. Scostò docilmente la mano, pulendosi poi le dita sui pantaloni senza farsi vedere.
    Annuendo, Vis lo guardò spargere le carte a tutti e sollevare la mano.
    Gettando sul tavolo un seme senza valore, Zyroh storse la bocca. "Comunque, non ci hai detto perché t'interessa tanto casa nostra. Dico, non c'è niente per uno come te."
    "Vuoi abbandonarci prima della guerrah?!" singhiozzò Tyroh, schiacciando le sue carte contro il legno con un'espressione scontenta. Il suo dispiacere aumentò alla seconda tornata, quando pescò qualcosa che non doveva valere molto. "Ho tutte carte pessime! Per la Dea, i miei soldini..."
    "Soldini?" gli fece eco Vynoh.
    "Servono a mia sorella per i tessuti della bottega!"
    "Sì, ma... soldini?"
    "Ho interessi privati" disse Vis, lasciando che Tyroh vincesse la mano riguadagnando qualche moneta. L'euforia e un paio di sorsi di birra in più del dovuto gli allungarono la lingua.
    "Con chi?"gli chiese, gesticolando. "Con la regina di quella topaia?"
    "Mah, se dovessi servire una regina andrei da questa raddoh coi draghi..." commentò la Conduttrice Minore. "Sembra una cosa seria."
    "Nah, secondo me è un fuoco di paglia."
    "Arevrhìl?" propose Tyroh.
    "Quel tizio mi fa paura! Ho sentito storie orribili!" esclamò la femmina. "Mio cugino una volta è andato lì ed è stato trasformato in una lucertola!"
    "In una lucertola? Ma non è nel terzo plotone?"
    "Si, perché poi è migliorato..."
    Vis fermò la mano sul mazzo. "Mi serve la sua posizione, ragazzi."
    "Beh, allora..." inizò Tyroh. Forzandogli un po' di lucidità in testa, Vis ascoltò quel che aveva da dirgli. "O perlomento, questa è la strada che abbiamo fatto noi per andarcene. Non so se funzioni per arrivarci."
    "La farò funzionare" disse loro, alzandosi. "Se volete scusarmi..."
    Rivolgendogli un paio d'occhi fatti lucidi dall'alcool, la femmina aprì la bocca. "Ma come? Te ne vai? Mi lasci così, senza una rivincita? No, se non vuoi assaggiare la frusta!"
    "Uuuh, perverso!" esclamò Zyroh.
    Chinandosi in avanti, la Conduttrice piantò l'indice sulle carte. "Rivincita, occhietti azzurri. Adesso. Cart d'oro con cuore al centro, ti sfido a battermi con quello."
    "Cuore al centro, dici?"
    "Oh, sì. Lì sono imbattibile."
    "Come questo?" le chiese Vis Revar mentre, affondando in avanti con la mano, le strappava il cuore dal petto. Lo sollevò sopra alla propria testa, lasciandolo gocciolare a vuoto, con gli ultimi spasmi di vita che lo animavano.
    Alas, povera ragazza. La conoscevo così bene.
    Girò la mano, lasciando cadere il suo cuore sul tavolo. Al centro, per essere precisi. Strofinandosi le mani, guardò i suoi paralizzati compagni di gioco e sorrise.
    "Vynoh, Tyroh?"
    Se fossero stati sobri non sarebbero stati comunque veloci abbastanza. Agguantò Vynoh per le spalle e lo strattonò in alto, tirando con le braccia per dividerlo. Lo strapparsi in due del suo corpo si mischiò alle urla e al trambusto. Strappandoglii la spada di dosso, Vis Revar deflesse un fendennte tutto storto e piantò un calcio sul ginocchio di Tyroh, spezzandogli la rotula. Zittì i suoi latrati tagliandogli la gola, per poi girarsi all'indirizzo di Zyroh.
    "Come avevo promesso, tu sei l'ultimo."
    Urlò a lungo, ma non servì a niente. Lo stesso fecero gli altri presenti nella locanda. Urlarono quando li tagliò, azzanno e squarciò e urlarono quando diiede fuoco al locale, lasciandolo alla voracità delle fiamme.
    Emerso dall'incendio, Vis Revar si riitrovò davanti la piccola cameriera. Dalle mani le era appena caduto un secchio d'acqua.
    "La torta era davvero buona" le disse, scivolandole una carezza in mezzo ai capelli. Lei si girò a seguirlo con occhi sgranati e Vis le trasse dai capelli un paio d'insanguinate, ma ancora scintillanti monete d'oro. "Come ti avevo promesso. A proposito, cos'hai visto?"
    "Un incendio, mio signore?"
    "Oh, sì. Un tragico incendio."
    "E cos'hai fatto?"
    "Ho chiuso tutti dentro, come mi avete detto di fare."
    "E chi sono io?"
    "Un frutto della mia immaginazione?"
    "Bravissima."

    -
    Riemergendo dall'acqua della tinozza, Vis Revar sospirò. Uscì dalla tinozza, vestendosi con una camicia di lino fresca sotto un farsetto nero dal colletto rosso. Un paio di calzoni scuri, puliti e freschi, e degli stivali sarebbero stati più che sufficienti se abbinati ad una buona giacca. S'agghindò un fazzoletto al colletto della camicia e lisciò i capelli all'indietro.
    "Sai, mi ricordi qualcuno" disse alla schiavetta. "Lontano da qui."
    "Oh..."
    "Chissà, forse penserà a me quando sarà da sola. O forse no"
    "Perché non dovrebbe farlo?"
    Che domanda innocente.
    "Già. A proposito, fai avere alla mia assistente qualcosa di Drow da vestire. Non m'interessa cosa ti dicono."
    "Ma gli ordini sono stati di..."
    La guardò negli occhi. "Lo so. Ma lo farai lo stesso."
    "Lo farò lo stesso, mio signore..."
    "Ma che brava creaturina."
    Lasciata la stanza del bagno, Vis si piantò sulla soglia. Malina l'aveva atteso, restando pazientemente oltre la porta. Se avesse detto qualcosa d'interessante, l'avrebbe origiliato e riportato a chi di dovere.
    Poteva essergli utile, in futuro.
    "Quando lo desiderate, posso seguirvi da Sua Maestà."
     
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    La schiava avrebbe portato alla mezzelfo una veste semplice, ma pregiata, composta di una tunica di lino bianca iferiore e di una di cotone rosso più spesso, chiusa in petto da una combinazione di laccetti. In vita aveva una cinta di stoffa che scendeva morbida fino alle ginocchia, mentre le maniche si fermano al gomito, lasciando fuoriuscire quelle bianche della tunica sottostante.
    Malina le rivolse un’occhiata di rimprovero e si segnò di punirla in seguito, mentre attendebva l’arrivo del capitano L’Estant. Era certa che fosse opera sua e, più passava il temo, meno lo apprezzava.

    Dabbasso, Adalia era alle prese con la sua lettura, quando vennero a chiamarla per il pranzo. Ripose il libro sullo scaffale con un colpo di ventaglio e si alzò per raggiungere la sala da pranzo.
    Il camino era spento, ma la tavola già imbandita. L’arazzo accanto alla porta raffigurava il giorno della sua incoronazione nella sala del trono, con lwi che in piedi sulla gradinata davanti al trono, incorona se stessa, mentre le nobili con i loro consorti le fanno ala intorno.
    Prese posto a capotavola e chiamò una schiava. — Cosa servirete oggi?
    — Per cominciare, tagliere di… salumi e formaggi (così si chiamano) di superficie, vostra maestà. I maschi che avete mandato a est sono tornati con cose piuttosto interessanti, che speriamo possano riuscirvi gradite. Proseguiremo con una zuppa di cipolle; la ricetta è di Dolor Amorth. Poi tagliata di carne fresca ai ferri e in ultimo un assortimento di dolci e frutta fresca.
    — Sembra adeguato.
    — Lo riferirò alle cucine, se siete d’accordo.
    — Lo siamo. — Congedò la ragazza con un lieve sventolio della mano e intrecciò le dita in attesa del proprio commensale.
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    Vis Revar seguì Malina accodandosi al suo passo, per piccolo che fosse. Era una tattica, non necessariamente così sciocca, per vedere come reagiva al protrarsi dell'attesa? Aveva due stecchini corti al posto delle gambe? Probabilmente entrambe, ma poco importava. La pazienza era una virtù necessaria in mare.
    E si poteva essere molto, molto pazienti quando si aveva l'eternità.
    Prendendo le misure del palazzo regio, Vis mantenne un'espressione affabile. Come l'aveva visto da fuori, così era il suo interno; la roccia sapeva di nuovo e appena sbozzato, con un senso di pretesa che ancora non aveva le mani per impossessarsi di quel che riteneva suo. A suo tempo, però, le avrebbe avute.
    Di nuovo, pazienza. Serviva solo quella. Certo, dei legni pregiati e dei tappeti avrebbero fatto la loro parte nell'arricchire quei corridoi. Grazie alla Dea non c'erano teschi ovunque. Di quelli, ripensando ad un viaggio precedente, Vis Revar sentiva d'averne proprio avuto abbastanza. E poi i loro proprietari non erano nemmeno stati molto accoglienti.
    Adocchiato l'ingresso di un corridoio, però, ci vide il posto perfetto per delle bandiere e degli arazzi decorativi. Gli emblemi che raccontavano i trionfi ottenuti per mare e terra piacevano a tutti e potevano impressionare gli ambasciatori.
    Più avanti.
    Malina lo condusse dentro la sala da pranzo, che riposava in cima ad una scalinata. Il contorno della corte stava alle ali, fiancheggiando quello scranno che non aveva molto d'impressionante. Il posto del capotavola non era particolarmente notevole, ma si distingueva dalle altre sedie per la moderata ricchezza del suo schienale.
    Guardando un arazzo della sala del trono, Vis Revar fece per schioccare la lingua, fermandosi prima. Perlomeno, il trono della Regina sembrava una sedia funzionante, invece che un ammasso di ferraglia battuta e armi scadenti come quell'altro. Quale folle si poteva fabbricare un trono sul quale rischiava di tagliarsi ad ogni seduta?
    La risposta, a pensarci bene, era fin troppo ovvia.
    Com'era giusto e prevedibile, la Regina era la sola già seduta. Il contorno aspettava e lui, essendo appena entrato, aveva bisogno di un cenno d'invito. S'inchinò per salutarla, attento a non farne un salamelecco troppo lungo o una formalità spiccia.
    Il giusto stava nel mezzo.
    "Vostra Grazia" esordì Malina. "Il Capitano L'Estant."
     
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