Tante speranze

"Il mio nome è Ragnos," disse il ragazzo. Finalmente poteva dare un nome a quella creatura misteriosa!

In effetti, preso com'era dal discorso interrotto, si rese conto dei battiti del bastone solo quando questi si fecero più insistenti e frequenti. Sembravano mimare un cuore che batte. Un cuore! Che fosse davvero quello il suo intento? Imitare il respiro e il battito cardiaco perché magari lui non li aveva. Un'ulteriore prova del fatto che fosse un non-morto.
Nerinath rimase indeciso per un po' se chiedere o non chiedere. Se non glielo aveva ancora rivelato magari non voleva farlo sapere in giro, ma d'altro canto una domanda non aveva mai ucciso nessuno. Vero?
Non aveva paura di lui, non si sentiva a disagio, però non lo conosceva ancora bene e si sa, fidarsi è bene non fidarsi è meglio.

"Invece qual è il tuo nome? Mi farà bene saperlo visto che ho appena deciso che parteciperai alla ricerca di Durnel con me."
Cosa si era perso? E la storia del non fidarsi degli sconosciuti? No, stava scherzando; ma aveva uno sguardo così fiero, troppo serio per essere uno scherzo.
Poi Ragnos gli tese la mano. Che doveva fare?

Se avesse accettato cosa avrebbe fatto? Sarebbero partiti all'avventura? Per dove, poi, dato che di Durnel non era sicuro fossero rimaste nemmeno le macerie? Però Durnel esisteva, i loro racconti lo confermavano, ne era certo. E unendo le loro conoscenze avrebbero potuto trovarla davvero.

Di questo si trattava, in fin dei conti. Unire informazioni, unire un interesse comune. E se fosse stato a senso unico? E se lo avesse in mente di tradirlo, di usarlo? Probabilmente il ragazzo lo stava solo sfruttando per carpire qualche informazione. Non che gli desse fastidio il pensiero, Nerinath avrebbe fatto lo stesso e lo capiva bene, ma fino a che punto poteva fidarsi?

«Il mio nome è Nerinath,» disse sorridendogli. Aveva ancora in mano il bicchiere di vino e preso dall'agitazione del momento posò quello sulla mano di Ragnos. Teneva stretta la mano al boccale e nel contempo lo guardava fisso. Poteva sembrare un giuramento fatto su un bicchiere di vino.
«Non capisco come tu faccia a fidarti di me in questo modo. Io non mi fiderei di me stesso, ahah!»

Sentì che era venuto il momento di saziare la propria curiosità: «So ancora poco di te, non te la prendere. Però se vuoi, posso pensarci e entro l'alba ti darò la mia risposta. Intanto dimmi, a che razza appartieni? O chissà, magari devo dire "appartenevi"...»

Nerinath continuava a tenere stretto il bicchiere sulla mano del ragazzo come se fosse un gesto naturale. Ragnos accolse l'idea e gli porse il proprio calice. L'elfo non ci pensò due volte: si ritrovarono faccia a faccia con i bicchieri tra le mani in una posa bizzarra. Dall'esterno poteva sembrare che stessero suggellando un patto. Un patto fondato sul vino.

"Se avessi voluto ucciderti lo avrei già fatto." Ah-ah, divertente. No, non faceva affatto ridere: quegli occhi purpurei mettevano una certa soggezione eppure sembravano quasi calmanti. "Avrò cura di te come mamma orsa ha cura dei propri cuccioli". Ah! Una specie di guardia del corpo. Mi si scioglie il cuore così! pensò, evitando in tutti i modi di ridere all'idea. Era una cosa seria, Ragnos lo aveva detto con lo sguardo fiero e convinto. Visto così, poteva anche sembrare vero, per quanto fosse difficile crederci.

Un malintenzionato avrebbe mai fatto un discorso del genere? Ma cosa più importante: da quando si preoccupava dei malintenzionati? Di brutte storie ne aveva sentite tante ma di sicuro non ne aveva mai avuto paura. Quello che avrebbe voluto evitare era che... mi sta simpatico questo tizio. Ecco, appunto.
Patti chiari, amicizia lunga. Lui prestava le conoscenze e il ragazzo prestava la protezione, o qualsiasi cosa avesse voluto dire, niente di più.

"È giusto volerci pensare. Ti aspetterò davanti a questa taverna domani all'alba."
Diplomatico al punto giusto. Almeno aveva constatato non fosse un ragazzo impaziente - e la pazienza è la virtù dei forti.

"Sai che questo corpo appartiene alla razza dei mortali ora come prima."
«Capisco.» Era convinto? No. Voleva saperne di più? Assolutamente sì!
Che non avesse ali o artigli o corna lo aveva notato. Dalla corporatura sembrava umano, e non aveva i dentacci di un vampiro. Che fosse un genesi. O un lich.
«Perdona la schiettezza, ma i tuoi occhi sono proprio belli. Dì un rosso così effervescente, vivido, particolare. È una caratteristica di famiglia?» Era quasi emozionato. Finalmente qualcosa di nuovo.

"Chissà, magari un giorno te li presenterò," rispose Ragnos. Pareva quasi emozionato nel parlare dei suoi cari. Che fossero molto uniti? Chissà cosa lo aveva spinto a partire all'avventura; magari non era scappato di casa come aveva fatto Nerinath, forse era vicino casa e tornava regolarmente dalla propria famiglia.
Nerinath invece non aveva troppi legami con i suoi genitori. Né col proprio villaggio. Né con altri elfi in generale. Nessuno lo aspettava, non aveva una casa - e non chiamava casa il luogo d'origine. Per quanto riguardava i rapporti umani non era in grado di mantenere legami solidi e duraturi: si era sempre considerato uno spirito libero, indipendente e sciolto da ogni vincolo come l'aria.

Ora però doveva prendere una decisione.
Sciolse la presa dal giuramento, e si congedò dal ragazzo.

Sarebbe rimasto un semplice sconosciuto o sarebbe diventato un compagno di viaggio? Una decisione difficile che non poteva prendere da solo.
Lascerò decidere la sorte, pensò. Tirerò i dadi. Se esce pari andrò con lui, se esce dispari non lo incontrerò più.
A che pro cercare Durnel? Fama, gloria... No, non erano una buona motivazione. Se si fosse rivelata una ricerca infruttuosa? Per quanto sarebbe stato divertente? Non poteva prendere un impegno a lungo termine. Non ne era capace - e ormai aveva imparato a conoscersi.

Tirò il dado. Seguì con attenzione i suoi movimenti. Rotolò una, due volte, poi si fermò. Contò con attenzione i pallini.
Nerinath fece una smorfia di disappunto. Sai cosa? prese in mano il dado, ignorò il numero uno che svettava chiaro ed evidente, e lo voltò sul due. Andrò lo stesso!




Il mattino dopo andò subito alla taverna. Che fosse troppo presto? Dopotutto aveva detto l'alba. Gli elfi non avevano grande necessità di dormire, ma forse non era così per gli umani. Lo avrebbe trovato davvero lì ad aspettarlo?