Con una simile compagnia

10 fashar, 1127 d. G.

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    Vis Revar L'Estant

    Soddisfatto, Pierre passò la mano sugli strumenti. Uno dopo l'altro, li aveva ordinati per dimensione e utilizzo impilandoli sotto piccoli, ben stretti laccetti di cuoio. Tirato un lembo dello strale per farlo arrotolare, il nano ascoltò ad occhi chiusi il loro tintinnio. "Hon hon, super!" esclamò, baciandosi le dita.
    Posata la tazza sul tavolo, Vis Revar inarcò un sopracciglio. "Pierre, sai bene che non ho bisogno di tutti quegli arnesi."
    "Non sono arnesi, mon capitain! Questi sono finissimi strumenti di tortura, manufatti chez il sottoscritto!" s'accigliò il nano. "E comunque, c'est l'apparence."
    "Lo so, lo so."
    "E poi mia cugina dice sempre che un buon rostro di strumenti vale più di mille parole."
    "Quella che vive a Khalshara, Pierre?"
    "Proprio lei!" rispose gioviale il naso, arricciandosi le punte dei baffi rossi. Scoccò un cenno alla guardiola che dava sul molo della Capitale, prima di affacciarsi. "Chissà come sta..."
    Alzandosi, Vis si lasciò sfuggire un sospiro. "Direi senza zafferano."
    "Questo è un vero peccato, amavo il suo risotto!"
    Arricciate la labbra, il capitano agitò il sangue che riposava dentro la tazzina. "E io i soldi che mi portava trafficarlo, ma qualcuno ha deciso di avere paura. Ricordami di..."
    "Di scuoiare vivo De Orti-Vessillas se mai lo dovessi rivedere, sì."
    "Bravo, Pierre. Molto bravo." Preso un sorso, Vis si pulì le labbra con un panno. "Inoltre, contrabbandare zafferano non rende onore alla Regia Marina."
    "Potremmo sempre consigliarlo a Sua Maestà, mon capitain. Fiuterebbe il guadagno e..."
    "No, non sono azioni degne di noi."
    Il nano imprecò. "Siamo senza risotto, dunque..."
    Scavalcandolo, Vis prese lo strale degli attrezzi. Con l'altra mano raccolse la tazzina e bevve un altro sorso, prima di vuotare quel che rimaneva nel canale di scolo. Il gorgoglio durò pochi attimi; lo stretto necessario per scivolare oltre le grate e, scorrendo dentro il canale di piombo, arrivare al barile nella stiva.
    Aperta la porta della cabina, Vis attraversò il camminamento che portava al ponte. L'aria esterna gli portò addosso l'odore dell'acqua salata e della roccia umida, dei licheni che s'arrampicavano fino al cielo di granite scura e del ponte che veniva lavato sotto lo sguardo di Dùsh.
    Lo scheletro si mise sull'attenti, schioccando un rumore d'ossa che sbatacchiavano contro la leggera armatura che vestiva. Poco più di un usbergo foderato, con un gambalone che copriva l'accenno degli stivali. Sottobraccio stringeva un elmo conico.
    "Capitano, quando siete pronto..."
    "Possiamo andare, Dùsh." Prima di scendere lungo la passerella, Vis si girò a guardarlo. "Non credo che la regina apprezzi l'odore dell'acqua salmastra, sai?"
    "Non avevo altro..."
    "E penso che lo stemma ti sia venuto troppo chiaro."
    "Bah!" borbottò lo scheletro sollevando un lembo del gambalone. "E dire che ci avevo messo tanto impegno... e tanti molluschi morti..."
    "Migliorerà con il tempo."
    "O quando avremo una dannata tintoria, capitano!" sbottò lo scheletro, scendendo la rampa con l'elmo sottobraccio e la lancia in spalla. "Le uniformi sono importanti per una forza armata! Servono a creare unità di corpo."
    Non avevano abbastanza maschi per impilare un plotone, men che meno un'armata. Con il tempo sarebbero arrivati altri drow dalle caverne circostanti, sì... o almeno, quella era la speranza. Con una sola nave e nessun rinforzo, ogni azione bellica contro gli Uomini Cornuti poteva essere la prima tanto quanto l'ultima.
    E quello svantaggio andava rimediato, in qualche modo.
    Toccato il molo, Vis incrociò le mani dietro la schiena. Spingendo una scialuppa, due anime dell'equipaggio gli rivolsero un veloce saluto. Dietro di loro, Radam' alzava trionfante un barilotto.
    "Me preso tanti glo-gloo!"
    Dopo aver attraccato, i due dell'equipaggio precedettero Radam' nello sbarcare sul molo. Come se contenti di essere distanti da Radam' Fran'qoirs e Wol'oloz impiegarono un secondo ad apprezzare il dono della terraferma, poi il primo s'issò sull'attenti.
    "I canali da e per la città sono vuoti, capitano" snocciolò Fran'qoirs. Per dimostrare la sua nuova lealtà alla causa di Vandyra si era fatto cucire una sciarpa con i colori regi. Che fosse venuta troppo lunga, con la linea divisoria un po' sbilenca e alcuni fili che penzolavano a vuoto era dovuto più alle abilità tessitorie di quella buona drow di Dhyere.
    "Nessuna imbarcazione, dunque?"
    "Neanche una" aggiunse Wol'oloz. "Abbiamo però avvistato un pugno di casupole su di una spelonca, fuori dal golfo principale. Dal comignolo usciva fumo."
    "O un tauro stava cucinando due bambini..." borbottò Dùsh, "oppure potrebbero essere randagi. Avete fatto come ordinato?"
    "Sì, sergente."
    "Mastro sergente, idiota!"
    "Sì, mastro sergente!" replicò Wol'oloz, in qualche modo fermandosi prima dell'aggiungere idiota alle sue stesse parole. "Devo dire, non mi sono ancora abituato a questo nuovo grado..."
    "Abituati, o dovrai abituarti alla mia lancia in gola."
    Una serie di schiocchi attirò l'udito di Vis, riportando il suo sguardo alla Ner'Verar. In cima all'albero maestro, la nuova bandiera svolazzava con una fierezza tutta sua.
    Affacciata sulla balaustra, Ashiura sogghignava. "Punto per il tauro e i bambini", gesticolò. "Poveri Tymo e Tylla!"
    "Scendi e accompagnami." le ordinò Vis, prima di guardare i due marinai. "Ottimo. Se sono drow, capiranno il segnale. Se non lo sono, non sapranno che cosa vuol dire. Ammesso che l'abbiate inciso nella maniera giusta..."
    Fran'qoirs tirò fuori dalla tasca un lembo di pergamena e lo guardò prima di rispondergli: "Sì, capitano! Perfettamente, anche!"
    Una nuova ridda di gesti animò la passerella di sbarco. "Come minimo li ha fatti al contrario."
    "Mi auguro non sia così."
    Quelle pattuglie non dovevano spingersi troppo lontano. Sebbene cercare nuovi regnicoli fosse importante, lasciare indizi agli Uomini Cornuti era l'ultima cosa di cui avevano bisogno.

    Lasciato il molo alle proprie spalle, Vis Revar risalì la stradina che il giorno prima era stata animata dall'adunata del popolino vandyrico. Dietro ai suoi luogotenenti, Radam' trotterellava tutto contento. Si era caricato in spalla il barilotto, che continuava a gocciolare acqua salmastra sulla sua casacca, già fradicia.
    Un focolaio di rumori e chiacchiericcio, lo stallo di Thenar e Dhyere era animato da un robusto pugno di clienti. Una buona mezza dozzina erano del suo equipaggio, scesi per pasteggiare e rifocillarsi tra un turno di guardia e una ronda sul molo. Altri erano abitanti, più bassi e tarchiati, attratti dall'odore di tonno fritto.
    Una terza pentola aveva trovato il suo posto sul fuoco. Quando lo vide avvicinarsi, la proprietaria sollevò uno stecco di tonno impanato. L'olio caldo spillò in faccia a suo marito, che imprecò e si pulì con uno straccio.
    "Un omaggio al nostro primo capitano!" esclamò Dhyere, contenta. "Un amico di Vandyra!"
    "Caccia ogni nemico della città giù in fondo al mar ogni volta che un pugno tira!" le fecero eco i suoi clienti, invitando a gesti il Primo Capitano della Regia Marina ad avvicinarsi. Con Radam' al seguito, Vis raggiunse lo stallo.
    "Un omaggio!" ripeté Dhyere, offrendo lo stecco. "Questa è una nuova ricetta, capitano! Uso il pane per coprire il tonno!"
    Sbracciandosi in avanti, Radam le svuotò il barilotto davanti ai piedi. "Me portato altri glo-glooh!"
    "Oh, per la Dea... proprio quando stavo per finirli."
    "Guh!"
    Accettato l'omaggio, Vis adocchiò il suo semplice protetto. "Ne ha uno per lui, Dhyere?"
    "Se mi aiuta a pulire tutto questo pesce, ne ha quanti ne vuole..."
    "Hai sentito, Radam'? Divertiti qui, oggi."
    "Yey! Posso toccare legno?"
    "Sì, puoi toccare tutto il legno che vuoi."
    "Sarà pure stup..." facendo per mordersi la lingua, Dhyere si bloccò. "Sarà pure un po' toccato, ma pesca come se fosse la sua natura."
    "Ognuno ha i suoi doni." Dato un morso al bastoncino, Vis schioccò la lingua. "Il suo deve essere di cucinare..."




    Under this granite sky
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    La giornata si annunciava ottima. Itreya era in cella, Malina le aveva appena portato la colazione e Vis Revar stava per arrivare.
    Adalia sorseggiò il tè e addentò un altro biscotto. L’idea di assistere alla tortura all’interrogatorio del traditore le metteva appetito. Non che servisse davvero: era quasi certa di conoscere già i motivi per cui era tornato. Voleva solo sentirli dalla sua bocca… e divertirsi un po’. Di sicuro avrebbe continuato con quella storia di averlo fatto per il bene degli interessi economici di Vandyra, a perorare l’importanza dei legami con la madrepatria e altre montagne di sterco simili. Cavargli fuori che non aveva altro interesse se non fare un buon matrimonio sarebbe stato estremamente soddisfacente. Scoprire anche con chi era l’eventuale ciliegina sulla torta.
    Purtroppo per kyne Torep, si sarebbe persa quel delizioso spettacolo, ma l’avrebbe aggiornata in merito più tardi.
    «Malina, quali sono le condizioni attuali del prigioniero?»
    La maggiordoma (e ora sua rappresentante sulla Ner’Verar) scattò sull’attenti. «Ha passato la notte in cella, incatenato al muro per precauzione. Tutti gli incantesimi che aveva addosso sono stati rimossi, secondo le vostre indicazioni, e gli è stato dato un blando sonnifero nel cibo.»
    «La gamba?»
    «Steccata e bendata, vostra maestà. Ma ancora rotta.»
    Molto bene. Proprio non meritava che un mago gliela rimettesse in sesto, onestamente. «Da’ ordine di rimetterlo in sesto… quanto basta perché sia cosciente, intendo. Se non è in grado di risponderci, non serve.»
    «Ma non dobbiamo certo trattarlo con i guanti» aggiunse Malina, esplicitando il sottinteso.
    Adalia annuì.
    «Provvedo, vostra maestà.» La maggiordoma si inchinò con una mano sul cuore e la lasciò alla sua colazione.
    Adalia sorrise, sbocconcellando con calma una pasta alla crema prima di terminare il tè.
    Le prospettive per quella giornata continuavano a migliorare.
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    Vis Revar L'Estant

    "Che strano" borbottò Pierre, Un momento prima aveva calciato un ciottolo lontano da sé, ma da qualche attimo sembrava che un'ape l'avesse appena punto sul collo. "Mi sembra di camminare da due mesi..."*
    "Non ora, Pierre" lo richiamò Dùsh, spostando l'alabarda dalla spalla sinistra a quella destra. Con quell'armatura indosso, ponderò Vis Revar, da lontano poteva passare come un vero armigero.
    Certo, qualsiasi occhiata da vicino, escluse quelle che potevano venire da Radam o da quell'altra buon'anima di Tòrr, avrebbe notato che era uno scheletro parlante. "Anche se..."
    Forse con un paio di guanti e un grande elmo chiuso... Alzati gli occhi al cielo di pietra di Vandyra, Vis Revar sogghignò. Chissà, magari poteva essere una buona idea.
    Condusse i suoi ufficiali per il sentiero che portava al palazzo reale. Più in basso, andando incontro alla modesta piazza cittadina, i primi lavori di costruzione del Tempio picchiettavano contro le pareti della grotta.
    "Ci servirebbero dei carpentieri..." sentì mormorato da Dùsh. "E degli scalpellini."
    "Prima i muratori, mastro sergente."
    Se avesse potuto ghignare, l'avrebbe fatto. "Certamente, signor capitano! Ma senza gli scalpellini come si fa ad incidere la storia gloriosa del regno e dei suoi armati?"
    "Storia che deve ancora esserci" puntualizzò Pierre, le mani incrociate dietro la schiena. "A meno che non vogliamo considerare l'aver azzoppato quello scarafaggio come il primo capitolo."
    "Penso che, in realtà, quello sarebbe rappresentato dal nostro arrivo" lo corresse Vis Revar, ritraendosi di un passo verso il bordo del sentiero. Il Tempio, in tutta la sua più progettata che realizzata gloria, era una serie d'incomplete fondamenta intagliate nel suolo. Senza operai, e sopratutto mastri specializzati, la sua realizzazione sarebbe stata una questione di fortuna, errori e tentativi.
    All'esterno delle grotte c'erano molti insediamenti e piccoli villaggi, compresi la cava e la miniera. Non erano esattamente delle metropoli piene d'ogni sorta di professionista e lavoratore, d'accordo, ma erano dei punti di partenza.
    Cosa ancora più importante, perlopiù erano indifesi. Avrebbero potuto rapire un po' di persone, se fosse stato necessario, oppure convocarle nella cittadina. La seconda opzione era più diplomatica, ma presentava il problema di sfamarle e, sopratutto, pagarle.
    Magari una visita al villaggio degli stregoni della costa...
    Quel luogo gli dava l'idea di poter fornire qualche decina di utili braccia ai lavori. Sì, perlopiù stupide e segnate da così tanto incesto da renderli quasi tutti primi cugini tra di loro, ma, in qualche modo, quel luogo gli mancava. Avrebbe voluto farci ritorno, almeno per concludere delle faccende che sapeva di avere lasciato in sospeso...**
    "Ne dovremmo discutere con Kyne Torep" disse il capitano a voce alta, rompendo il flusso dei suoi pensieri. Vide Pierre e Dùsh guardarlo per un momento, poi tornare sui loro passi.
    Chissà dove l'aveva già vista, poi!

    In cima al sentiero, avanti ai portoni d'accesso, aspettava Malina. Composta e attenta, come al suo solito. Sua Maestà doveva averla inviata a riceverli, anticipando il loro arrivo. Vis Revar le offrì un saluto con un cenno del capo, portandosi avanti ai suoi due ufficiali. Accennò a loro un momento dopo, come presentandoli con una spazzata di mano.
    "Loro sono con me."
    "Io sono il mastro sergente" esordì Dùsh, come se fosse qualcosa di davvero importante da dire. Probabilmente Malina doveva averlo visto durante la cerimonia, quando era stata in compagnia di sua Maestà sulla Ner'Verar, ma ora lo vedeva da vicino. Abbastanza, pensò Vis Revar, per pensare chissà cosa davanti al suo mimare un'alzata di celata.
    In teoria, era intitolato a farlo. Nella pratica chissà quanto doveva sembrarle bizzarro. Pierre, forse per dare uno sgambetto allo scheletro, sollevò la borsa degli attrezzi.
    "E io sono il maggiordomo."
    "Pensavo l'aiuto torturatore" commentò Dùsh.
    "Preferisco dirmi" replicò il nano con aria offesa, "un vivo ausilio nell'opera di estrarre la verità dalle rocce viventi di una persona."
    Zittiti entrambi con un colpo d'occhi, Vis Revar incrociò le mani dietro la schiena. "Dopo di lei, Malina. Ci annunci quando lo desidera."






    *OUCH! Ho sentito il tonfo.

    ** ;_; 7 per Distanti Orizzonti
     
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    Malina ricambiò il saluto di Vis Revar, ma non un muscolo in più si mosse sul suo viso. Se aveva delle rimostranze – ed era probabile, non solo per l’atteggiamento di Pierre e Dùsh – non lo diede a vedere. «Vogliate seguirmi, prego.» Li condusse presso una sala vuota che avrebbe potuto essere tanto un magazzino quanto una futura camera delle torture, a seconda dell’uso futuro. Gli unici pezzi di mobilio rimasti erano un tavolo e una scaffalatura vuota – forse troppo pesante o ingombrante da spostare, considerato come occupava l’intera parete di fondo.
    Itreya era stato incatenato all’unica sedia che si trovava al centro della stanza, per precauzione, benché con una gamba rotta potesse fare ben poco. Non era ancora del tutto cosciente, ma lo sarebbe stato a breve: il sedativo che gli era stato dato stava terminando il suo effetto.
    «Disponete pure di lui come preferite, mentre vado a chiamare la regina.» Malina li lasciò a sistemarsi come preferivano.

    Avvertita del ritorno di Malina dall’eco dei suoi passi, Adalia mise giù il libro che stava sfogliando nel frattempo.
    «Il capitano L’Estant e il suo… seguito sono arrivati, vostra maestà.»
    Adalia annuì. Giusto quello che voleva sentire.
    «Li ho condotti dal traditore, come mi avete ordinato.»
    «Molto bene.» Adalia si alzò e si incamminò per vedere cosa il trio avesse fatto del prigioniero, che intanto – come poté constatare a breve – si era svegliato e stava ritornando in sé.
    Appena la porta si aprì per lasciarla entrare, Itreya alzò la testa e la fissò. «Adalia!» esclamò, come se invocare il suo nome valesse qualcosa. Aveva negli occhi la pura, atavica paura dell’animale braccato.
    Adalia inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia, sganciando il ventaglio dalla cintura per metterlo bene in vista.
    Malina le chiuse la porta alle spalle.
    «Non ti abbiamo dato il permesso di rivolgerti a noi, prigioniero
    Malina lo colpì al ventre con un pugno senza troppa grazia.
    «Parlerai solo se interrogato e nel merito delle domande che ti faremo.»
    Un altro pugno, più forte.
    «Siamo state chiare, fratello
    Itreya abbassò gli occhi e sputò a terra un po’ di sangue. «Sì, Adalia. Ti ho sentito.»
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    Edited by Maððie - 23/8/2020, 01:14
     
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    Vis Revar l'Estant

    Non la più calda delle accoglienze, dunque? Non ci avrebbe fatto caso, era classico da parte di Malina. Anzi, volendo essere onesti la sua reazione era stata paragonabile a grandi sbandieramenti e molto affetto, considerando il suo flemma.
    Vis Revar s'incamminò per seguirla.
    "Visto?" mormorò Dùsh rivolto a Pierre. "Ho fatto colpo."*1
    Il nano alzò la testa per guardarlo negli occhi. "Sai... non credo che madmoiselle abbia anche solo considerato la tua esistenza."
    "Sciocchezze, ho fatto colpo."
    Superando l'ingresso, Vis si volse incontro ai suoi due sottoposti. "Oh, sì. Immagino sia stato per merito della brillantina."
    "Probabilmente è stata quella, capitan... ma capitano!" Con un piede oltre la soglia, Dùsh aggrottò la fronte. "Non ho capelli, io. Non posso mettermi la brillantina."
    "Lo so."

    -
    "Adalia!" esclamò lo scarafaggio. Era positivamente in buone condizioni, il che prometteva un maggiore divertimento. Se fosse stato morente, dopotutto, la questione sarebbe durata molto, molto poco.
    "Non ti abbiamo dato il permesso di rivolgerti a noi, prigioniero" replicò Sua Maestà.
    Cogliendo quel vento, Vis Revar, che si stava togliendo il cappello, inclinò la testa annuendo. Fece roteare il corpricapo sull'indice, come una palla del gioco dei canestri di Hyrle, e poi lo fermò toccandolo con l'altra mano. Giusto in modo che indicasse la Regina con il bordo della tesa. Sogghignava pian piano, come un bambino al quale avevano dato un nuovo, costoso regalo tanto agognato.
    E che il cappello fosse stato di Itreya fino al giorno prima, insomma, era la ciliega in cima alla torta.
    Malina chiuse la porta alle loro spalle, poi tornò a colpire il prigioniero con i suoi pugni. Per fortuna non l'aveva picchiato alla testa; rendeva gli interrogati confusi e meno sensibili al dolore.
    Non si partiva mai dalla testa.
    Inserendosi dopo quel pugno, Vis Revar si piegò su di un ginocchio, così da fronteggiare lo sguardo della spia. Con la mano libera dal dover tenere il cappello, il capitano bussò sulla tibbia fratturata. "Come va la gamba?"
    "Ad occhio direi un po' malferma" s'inserì Pierre, tirando fuori dal nastro degli attrezzi un seghetto dentellato. "Il che mi porta a suggerire l'amputazione. Purtroppo ho finito gli anestetici."
    "Parbleau, non sarà necessario! sorrise Vis, tornando in piedi. "Già è brutto, se lo rendiamo anche storpio possiamo direttamente buttare il suo cadavere in un canale."
    Dùsh ridacchiò sotto la celata. L'alzò per fare vedere al prigioniero il suo viso, poi guardò il capitano. "Ah, sacchi di carne!"
    Un momento dopo, il sergente scheletro sciolse una tasca della sua cintura, tirando fuori una piccola trombetta di bronzo dalla bocca svasata. Palleggiandola sul guanto, affiancò Itreya e la portò alle labbra che non aveva.
    Lo strillo acuto e penetrante che gli rovesciò nel timpano destro rimbombò dentro la stanza. La nota saliva e scendeva, seguendo il ritmo di un fiato che non c'era.
    Abbassata la trombetta, Dùsh guardò la regina e la cameriera. "Ora è sicuramente sveglio."
    Non sembravano aver gradito il versaccio della sua vuvuzela.
    Aggirando Itreya, Vis Revar carezzò noncurante il bordo della sedia. "Ora, parlando come le persone educate e civili che siano, vorrei cominciare con una semplice e innocua domanda..."
    Allungò la destra sul collo del prigionero, pungendogli la pelle con l'indice. Una piccola spinta in più e la sua unghia cominciò ad inciderlo, scavando un taglio piccolo, ma fastidioso.
    "Perché sei venuto qui?"


    *1: Indubbiamente, Dùsh. Continua a sognare, Care Bear.
     
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    Vis Revar si chinò su Itreya e gli bussò sull’osso fratturato, facendolo soffiare tra i denti come un gatto randagio.
    «Come va la gamba?»
    Itreya non riuscì a rispondere e il nano lo fece per lui.
    «Parbleau, non sarà necessario! Già è brutto, se lo rendiamo anche storpio possiamo direttamente buttare il suo cadavere in un canale.»
    «Prima dovremmo costruirli, però» fece notare Adalia. In effetti, non sarebbe stato male avere delle vie navigabili che attraversavano Vandyra. Avrebbe fatto bene al trasporto delle merci e le vie pedonali potevano sempre integrarsi. Avrebbe dovuto fare calibrazioni in merito, ma c’erano questioni più urgenti.
    Come lo scheletro che suonò la vuvuzela nelle orecchie di Itreya.
    Il rumore era così penetrante da infastidire persino lei. Poteva quasi condividere lo sguardo d’odio che suo fratello rivolse al neo-nominato sergente.
    «Ora, parlando come le persone educate e civili che siano, vorrei cominciare con una semplice e innocua domanda...» si inserì Vis Revar, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Perché sei venuto qui?»
    Itreya sussultò come se qualcosa lo avesse punto. «Questo riguarda solo me e mia sorella!» tentò di protestare.
    Adalia roteò gli occhi. «Quante altre volte dovrai farcelo ripetere, prigioniero? Non sei più nostro fratello. Hai tradito la nostra fiducia e non meriti più quel titolo.»
    «Ho cercato di fare il bene di Vandyra!»
    «Il tuo, semmai» lo corresse. «A spese di Vandyra.»
    «L’accordo commerciale avrebbe…»
    Malina stroncò sul nascere quella protesta con una decisa pressione sul ginocchio dolorante.
    «Non farci perdere tempo, prigioniero. Rispondi al capitano.»
    Itreya grugnì una protesta e risucchiò aria tra i denti. «Ero in visita di pace, prima che il tuo… macellaio mi spezzasse una gamba, sorella. Come osservatore.»
    Certo, e lei doveva anche credergli? Forse era davvero venuto da solo, altrimenti qualcuno sarebbe intervenuto per difenderlo… oppure erano rimasti nascosti nella folla, sacrificandolo per mantenere la copertura? E se si fosse fatto rapire di proposito? Anche se, poi, fuggire con una gamba in quelle condizioni… C’erano troppe incognite; l’unica certezza era che, per quanto bassa potesse essere la soglia del dolore di suo fratello, quel verme non stava dicendo la verità – o, almeno, non tutta.
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    Vis Revar l'Estant

    Visita di pace.
    Visita di pace.
    Ritraendosi d'un passo, Vis Revar sollevò le sopracciglia, come se sorpreso. Annuì pienamente, in maniera apposta esagerata. come avrebbe fatto la maschera di uno spettacolo ambulante, ripetendo tra se e se quelle tre parole.
    "Oh, ma allora è stato tutto uno spiacevole equivoco!" sciolse le braccia, incrociate contro il petto solo un momento prima, levando i palmi verso il soffitto. "Che disdetta! Vostra Maestà, abbiamo messo le mani su di un innocente! Oh, lo strazio! La pena, spettri congeniati e che fuggono a noi da questo reo tempo d'insidie e complotti!"
    Pierre ridacchiò sotto i baffi, ciondolando da un piede all'altro.
    Appoggiata la sinistra sullo schienale della sedia, probabilmente suscitando uno scatto ad un Itreya ancora dolorante per la precedente puntura, Vis Revar si portò una mano al petto. "E costui, che lamenta la propria innocenza. Ed è mentre guardo la sua agonia che..."
    Girandosi di scatto verso il prigioniero, Vis sfoderò un ghigno lupesco. Gli toccò la tempia con l'indice e punse, costringendolo a piegare il capo verso l'altro lato.
    Il Primo Capitano spostò un po' l'indice, seguito dal calmo sanguinare di un taglio. "Uno spirto giocondo entro mi rugge" sogghignò, insistendo con il pungere, incidendo ad Itreya un taglio lungo la tempia. "Perché, piccolo orrido scarafaggio, dovrebbero averti insegnato che non si dicono le bugie."
    Riavendosi di scatto, Vis protese la mano verso Pierre. "Monsieur Pierre, di grazia; vogliate passarmi lo scalpello."
    Srotolato il nastro dei ferri su di un tavolino da campo portato da Dùsh, il nano fece danzare la mano sopra ad un compatto assortimento di scalpelli, inframezzati tra una serie di pinze e dei coltelli. Gli ultimi, allineati per dodici punte, andavano dal ferro battuto all'ossidiana, in diversi livelli di filo e acume della punta.
    "Quale, mon capitain? Grande, medio, fine..."
    "Monsieur Pierre..."
    "Oh" sussurtrò il nano mentre un lampo di divertita aspettativa gli attraversava gli occhi. Sciolse dai lacci uno scalpello fine, con il manico di corno e la punta per cesellare il marmo. Era un utensile da artigiano, dall'aria doviziosa. Non tanto lo strumento di un qualche apprendista quanto quello di un maestro, più visivo del necessario e di mezza spanna più sottile.
    Dopo averlo ricevuto dalle mani del nano, Vis lo fece dondolare sulle nocche. "Da quanto ne so, una visita di pace non avviene in incognito. Di solito ci si annuncia, scarafaggio. Si mandano delle lettere di cortesia, degli emissari. Certo, certo, per qualcuno è tanta etichetta inutile, ma..."
    Lo spinse fino all'indice e ritrasse la mano di colpo, saettando in avanti per riprenderlo. Lo strinse e lo piantò sull'inizio della falange distale del dito medio destro di Itreya, separandolo di netto e conficcando la punta dello strumento nel legno della sedia. "Vandyra è un regno rispettabile e richiede cortesia!"
    Divelto lo scalpello, Vis Revar se ne disfò lanciandolo ai margini della stanza.
    "E non ti lagnare così tanto!" disse davanti alle grida del prigioniero, chinandosi a sorridergli in faccia. "Su, su, non è successo niente; è solo un dito!"
    "Ne ha altri diciannove" osservò Dùsh, incrociando le mani dietro la schiena.
    Per ora.
    "Glielo possono riattacare." Volgendo lo sguardo verso Malina, Vis Revar rassettò le maniche della sua uniforme. "Glielo potete riattaccare, vero?"
    Un momento dopo, scoccò un colpo d'occhi al soffitto. "E nel caso non si possa, oh beh... effettivamente ne ha altri diciannove. E pensare che non gliene serve nemmeno uno." Abbassò il viso al drow sofferente, che dal gridare era passato ad una serie di convulsi ansiti. I suoi occhi sbarrati guardavano il moncherino, dal quale continuava a stillare sangue. "Ma torniamo a noi!"
    Dùsh si avvicinò. "Credo che si sia un po' rotto, capitano."
    "Che fragile! Sveglialo, di grazia."
    Sollevata la vuvuzela, Dùsh trombettò un terribile acuto nell'orecchio sinistro del prigioniero, che sussultò. Fece per stringere la testa alla spalla, strizzando gli occhi.
    "Buon giorno!" canterellò Vis Revar. "Bentornato tra noi! Ora, eravamo arrivati al punto in cui confessavi che sì, avevi detto una bugia e ti dispiace tantissimo. Ma accettando le tue scuse, di cui onestamente non saprei che farmene, ritorno alla mia domanda: perché sei qui? Chi ti manda?"
    Con un piccolo incantesimo sfilò un paio di pinze dalla cintura degli attrezzi e la fece schioccare nelle proprie mani. "Mi rendo conto che forse perdere mezzo dito potrebbe essere stato un po' scioccante per te, dopotutto sei un verme quindi non è legittimo aspettarsi chissà quale fibra, ergo..."
    Perso il filo del discorso, Vis fece schioccare di nuovo le pinze.
    "Non so, sto pensando che strapparti un testicolo potrebbe farmi dimenticare il tuo aver mentito alla regina. Oppure no. Chi può dirlo, prima che lo faccia?"
    "Di certo non io!" esclamò Pierre, accennando ad una seggiola da campo. Aspettava un cenno della regina per potersi sedere. "A proposito, un po' di desco non guasterebbe. Questo tizio non ha mangiato di recente, vero? Ecco, sarebbe veramente delizioso mangiare davanti a lui."
    "Mi ricordo un detto, il digiuno rende ogni cosa più buona."
    "Lo spero per me, ossa!"
    "Non mi chiamare ossa, Pierre!"
    "Su, non bisticciate" disse loro Vis, girando attorno ad Itreya. "Mi ricordate quei due insopportabili fratelli fabbri di Khalshara."
    "Assolutamente incivili, rumorosi e grezzi!" osservò Pierre.
    "Diversamente dal nostro cortese ospite, qui, che viene in missione di pac..." si fermò, ridacchiando di gusto. "Scusate, non riesco davanti ad una simile sciocchezza. Dicevo, che viene in missione di pace, camuffandosi, senza alcuna premessa o invito e non vuole nemmeno fare grazia alla Regina dell'identità di chi lo manda."
    "Che villano!" sbottò Pierre. "Ora posso sedermi, Vostra Grazia? Tutti quei gradini...."
     
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    La risposta di Itreya colpì Vis Revar come uno schiaffo in faccia: lo fece arretrare e spinse le sue sopracciglia verso l’alto. Poi il capitano annuì, ripetendo quelle parole tra sé con il suo fare da istrione.
    Adalia dovette sforzarsi di contenere il compiacimento. Itreya stava per scoprire cosa succedeva a pestare la coda al suo gatto. Certo, quel teatrino non era esattamente degno di un ufficiale regio, ma erano a porte chiuse, in fondo. Poteva concedergli di divertirsi un po’. Se lo meritava, con la fatica che aveva fatto per prenderlo vivo.
    Ma la pantomima doveva averlo annoiato a metà, perché la lasciò perdere di punto in bianco, per incidergli la tempia con un’unghia. Chiese al nano uno scalpello e se lo fece dondolare sulle nocche. «Da quanto ne so, una visita di pace non avviene in incognito. Di solito ci si annuncia, scarafaggio. Si mandano delle lettere di cortesia, degli emissari. Certo, certo, per qualcuno è tanta etichetta inutile, ma...» Con una destrezza da giocoliere, lo conficcò nel dito medio della destra di Itreya, facendo saltare l’ultima falange. «Vandyra è un regno rispettabile e richiede cortesia!»
    Doveva essersela proprio presa per quel “macellaio”…
    Itreya gridò con quanto fiato aveva nei polmoni. Decisamente troppo, considerata la velocità e la pulizia dell’operazione.
    «E non ti lagnare così tanto! Su, su, non è successo niente; è solo un dito!»
    Come notato dallo scheletro, ne aveva altri diciannove. Be’, per ora.
    «Glielo possono riattacare.» Vis Revar si volse verso Malina, rassettando le maniche dell’uniforme. «Glielo potete riattaccare, vero?»
    La maggiordoma sospirò. «Volendo, sì. Ammesso che meriti l’impiego di risorse regie per pagare qualcuno che lo ricucia e magari perda anche del tempo a svolgere anche un rituale per garantire una corretta guarigione.»
    Adalia cercò lo sguardo di Vis Revar, a braccia conserte, e gli mostrò un ghigno. Dava per scontato non si aspettasse di vederla sprecare il proprio oro in quel modo. Che cauterizzasse la ferita e la facesse finita, in nome di Xura!
    «E nel caso non si possa, oh beh... effettivamente ne ha altri diciannove. E pensare che non gliene serve nemmeno uno. Ma torniamo a noi!» riprese il capitano, come se avesse intuito la linea dei suoi pensieri. Ordinò allo scheletro di svegliare Itreya, svenuto per la paura.
    Coniglio!
    Il neo-ufficiale provvide a strombazzargli nell’orecchio, assassinando i timpani di tutti i presenti.
    Avrebbe dato ordine a Malina di far sparire quella maledetta vuvuzela alla prima occasione, quant’era vera Xura! Itreya poteva pure diventare sordo (dopo l’interrogatorio, beninteso), ma lei voleva tenersi l’udito intatto, grazie tante. «Buon giorno! Bentornato tra noi! Ora, eravamo arrivati al punto in cui confessavi che sì, avevi detto una bugia e ti dispiace tantissimo. Ma accettando le tue scuse, di cui onestamente non saprei che farmene, ritorno alla mia domanda: perché sei qui? Chi ti manda?»
    Itreya perseguì nel suo silenzio, forse perché ancora intontito e sconfitto da quel fiume di parole.
    «Mi rendo conto che forse perdere mezzo dito potrebbe essere stato un po' scioccante per te, dopotutto sei un verme quindi non è legittimo aspettarsi chissà quale fibra, ergo...» Perso il filo del discorso, Vis fece schioccare le pinze che intanto si era procurato. «Non so, sto pensando che strapparti un testicolo potrebbe farmi dimenticare il tuo aver mentito alla regina. Oppure no. Chi può dirlo, prima che lo faccia?»
    Quello era decisamente no spettacolo che si sarebbe risparmiata. Per quanto apprezzasse il dolore del suo debosciato fratello, faceva volentieri a meno di conoscere certi dettagli anatomici di un suo consanguineo. «Apprezzeremmo molto se ci risparmiaste una simile visione, capitano.» Ma non voleva comunque dire che non gli lasciasse la possibilità di smontarlo come una bambola, a debita distanza dal suo sguardo. Però torturarlo sbocconcellando qualcosa mentre lui continuava a sanguinare, come suggeriva quel nano, non era una cattiva idea, per cui fece cenno a Malina, che uscì per ordinare a un paio di schiavi di portare uno spuntino. Nel giro di un paio di minuti sarebbero arrivati con un vassoio di pane affettato, formaggio secco e carne essiccata, giusto per coccolare un po’ i loro palati a dispetto di Itreya.
    Anche se il suo cosiddetto fratello aveva grane più grosse a cui badare. Guardava Vis Revar come un coniglio terrorizzato, in trappola davanti al predatore. «Sono tornato per vedere Adalia!» gridò, con tutto il poco fiato che era riuscito a rimettere insieme. «La nostra onorata madre voleva che le portassi i miei omaggi e che trovassi il modo di riaprire la trattativa, ma temeva per la mia incolumità, se mi fossi presentato a mio nome. Non mi aspettavo di trovarmi davanti quella pantomima!»
    E lei doveva crederci? Quando mai Mishara Synthe si era preoccupata di altri che se stessa, a memoria di drow? «Non vediamo perché mandare te, allora, prigioniero. Se voleva trattare, poteva spedire qualcun altro.»
    «Dai, Adalia, sappiamo entrambi che di chiunque altro avresti rimandato indietro le orecchie e la lingua in una scatola.»
    «Questa è un’idea. Prendete nota, capitano: visto che la kyne nostra madre ci ha omaggiato di un simile regalo, glielo restituiremo… un pezzo alla volta. E nel frattempo cercheremo di cavarti qualcosa di utile da quella bocca bugiarda, prigioniero. Gioisci: sei finalmente diventato utile.»
    L’orrore negli occhi di Itreya la ricompensò con una scarica di piacere lungo la schiena.
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    «Dai, Adalia, sappiamo entrambi che di chiunque altro avresti rimandato indietro le orecchie e la lingua in una scatola.»
    Oh, no. La lingua no. Proprio no. Assolutamente no.
    Marciva troppo in fretta.
    «Questa è un’idea. Prendete nota, capitano: visto che la kyne nostra madre ci ha omaggiato di un simile regalo, glielo restituiremo… un pezzo alla volta. E nel frattempo cercheremo di cavarti qualcosa di utile da quella bocca bugiarda, prigioniero. Gioisci: sei finalmente diventato utile.»

    L'idea, però, non era affatto male. Non c'era una qualche famiglia con la passione per quel genere di regali ai suoi avversari? Aveva qualcosa a che fare con i pugnali, se non ricordava male. Cosa che, comunque, poteva essere.
    Schioccò la lingua, gli occhi rivolti al soffitto. Non riusciva a ricordarsi il loro nome, ma sentiva di averlo sulla punta della lingua. Oh, beh; se non ci riusciva, allora non era così importante.
    "Eppure era qualcosa con i pugnali..." mormorò prima di espirare. Non ne aveva alcun bisogno, ma le apparenze volevano la loro parte. Per il momento, di nuovo.
    "A proposito di un pezzo alla volta..." disse Vis Revar, facendo un passo verso il prigioniero.
    Nello scambio tra la Regina e lo scarafaggio con diciannove dita e una sola gamba buona c'era stato un punto che l'aveva alquanto infastidito. Non erano affatto inezie e permettersi di scavalcarle in quel modo poteva essere un cattivo precedente. Lanciò lo scalpello a Dùsh, che prese a pulirlo dal sangue con un panno imbevuto d'aceto.
    Tesi i muscoli del braccio destro, Vis picchiò un gancio destro contro la mandibola dello scarafaggio. Sentì le sue nocche impattare contro la carna e l'osso, comprimendo la prima e facendo rinculare il secondo. Lo schiocco gli riverberò nei timpani, subito seguito dal ritmico ridere di Dùsh. Lo scheletro aveva un'esilarante risata, monotona e ticchettante.
    "Direi, capitano, che se questa fosse stata l'arena dello Sqateiqòl sareste il nuovo campione."
    "Non credo, monsieru Dùsh" commentò Vis, rilassando la mano. "Non sta andando a fuoco niente."
    Lo scheletro tornò a ridere, poi si chinò a risollevare in piedi la sedia alla quale era stato incatenato Itreya. Il colpo l'aveva capovolto, facendolo cadere con i piedi all'aria.
    "So che è sbagliato cominciare un'amichevole scambio di domande e risposte con una carezza al capo..." esordì Vis, facendo cenno al suo sergente di risvegliare Itreya. "Ma quando si parla ai reali si usa il voi."
    L'etichetta era importante.
    "Le buone maniere non sono di casa dalle parti da cui viene questo sgorbio" commentò Pierre, sbuffando dalla sua pipa. "Senza offesa a voi, Vostra Maestà."
    "Dove hai trovato quella pipa?" gli chiese Dùsh, inclinando il capo. A modo suo, era una maniera di apparire torvo. Non avendo sopracciglia, o ciglia, o muscoli, il suo solo modo di esprimersi in quel senso stava nel come muoveva il capo. Per capirlo serviva solo un po' di esperienza.
    "L'ho trovata."
    "Sì, ma dove? E quando?"
    "Quando stavo aspettando! Tre mesi sono un sacco di tempo."
    Incrociate le braccia contro l'armatura, Dùsh soffiò tra i denti. "Sei strano. Come quei tuoi compagni fabbri, dici cose strane."
    "Segreti nanici."
    "Temo che qui stiamo andando un po' fuori rotta" esordì Vis, temendo l'allungarsi di quel loro teatrino. "Monsieur Pierre, può gentilmente destare il prigioniero?"
    "Oui, monsieur" disse il nano, saltando in piedi dal suo sgabello portatile. Finse di togliersi un cappello che non aveva, poi raccolse un secchio e lo vuotò sul viso dello stordito scarafaggio.
    "Grazie molte, monsieur Pierre."
    "Ah, dovere mio capitano. Peccato non avere dell'olio bollente..."
    "Quello è uno sperpero" gli disse Vis Revar, incrociando le mani dietro il petto. "La calce viva costa meno!" Afferrò la mandibola di Itreya e lo spinse avanti e indietro, come se fosse un bambolotto. Dopo qualche ondeggio, il prigioniero sputò un denso grumo di sangue che ticchettò sul pavimento, il suo rumore rapido a svanire contro gli angoli della stanza.
    Per tutta risposta, Vis aggrottò la fronte e rafforzò la sua stretta. "Non si sputa in casa altrui." ringhiò, affondando le sue unghie nella carne finché il medio e l'indice non cominciarono a grattarne la carne. Rilassata la stretta, guardò al pavimento.
    "Un premolare e un molare, comunque? Se non altro, possiamo dire che hai dei buoni denti." Ritrasse la mano, che strofinò su di un panno offertogli da Pierre. "Pardon, che avevi."
    "Ah, il suo sorriso mi dava fastidio!" borbottò Dùsh, prendendo dalla cintura degli arnesi un paio di pinze in ferro battuto. "Posso prendere anche gli incisivi? Al mercato possono valere qualche soldo!"
    "Dovremmo procurarci un dottore" Vis scosse la testa. "Un mercato dei denti non è una cosa rispettabile. Ah, se solo avessimo quella buon anima del dottor Boji!"
    Pierre sollevò la pipa in suo onore. "Un luminare dell'arte medica!
    "Un vero galantuomo!" aggiunse Dùsh, prima di guardare altrove, come se davanti avesse lontani orizzonti invece che una parete sotterranea*
    Un po' irsuto, ma non era niente del quale dargli difetto. Era proprio un peccato non averlo a portata di mano. Attratto un rasoio alla sua mano con un piccolo incantesimo, Vis roteò la lama tra le dita.
    "Ora, tornando a noi..."
    Avvicinò la lama del rasoio all'orbita destra di Itreya. Appoggiò il filo, spingendolo con il pollice. "Quanto è alta la tua soglia del dolore? Perché, vedi, vorrei proprio sapere con chi ha parlato tua madre prima di spedirti qui. Prova a ricordare. Nessuno ti forza, comunque. Se non lo farai, sai, potresti scoprire com'è la sensazione di una lama fredda che si porta via la pelle attorno all'occhio. E poi magari l'occhio stesso. Sai che puoi restare cosciente mentre penzola?"
    Roteò di nuovo la lama, ridacchiando tra sè e sé. "Anche per ora. Come quando si viene impalati. Se si è bravi, e ti assicuro che lo sono, si può mantenere la vittima cosciente per giorni."
    Sorridendo come un gatto, Vis girò intorno alla sedia. "Allora, con chi ha parlato? Nomi, facce, identità. Non darmi la versione che ha deciso da sola, spedendo solo te. Sei venuto senza una scorta, camuffato... c'è altro sotto. O qualcuno."
    Un guizzo gli attraversò il viso, portandolo a incidere la fronte del prigioniero con il rasoio. "Ma certo, quei gentiluomini dell'Uomo Scuoiato! Ecco chi."
    "Capitano?" chiese Dùsh.
    "Non mi ricordavo un particolare, ma adesso mi è venuto in mente. Capita, sono alcuni secoli che non navigo da quelle parti. Troppe lucertole volanti. E troppi buffoni con i capelli platinati..."
    "Non colgo."
    "Meglio, meglio..."

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    «Eppure era qualcosa con i pugnali...» borbottò Vis Revar. «A proposito di un pezzo alla volta...» Lanciò lo scalpello a Dùsh e si avvicinò al prigioniero. Lo colpì alla mandibola con un pugno che fece battere i denti persino allo scheletro.
    Ah, no. Stava… ridendo? Qualcosa del genere.
    «Direi, capitano, che se questa fosse stata l'arena dello Sqateiqòl sareste il nuovo campione.»
    «Non credo, monsieur Dùsh. Non sta andando a fuoco niente.»
    Adalia inarcò un sopracciglio. Non era sicura di voler indagare in merito. Ma, soprattutto, Itreya sarebbe riuscito a parlare, dopo quel gancio?
    «So che è sbagliato cominciare un'amichevole scambio di domande e risposte con una carezza al capo... Ma quando si parla ai reali si usa il voi
    Adalia ghignò. Forse non avrebbe dovuto incoraggiare quei comportamenti del suo primo capitano, ma c’era da dire che non riusciva a trovare neanche il più piccolo cenno di pietà per il suo consanguineo che lo scheletro stava facendo rinvenire.
    «Le buone maniere non sono di casa dalle parti da cui viene questo sgorbio» commentò Pierre, sbuffando dalla sua pipa. «Senza offesa a voi, Vostra Maestà.»
    «Non colta» gli assicurò. Del resto, si sarebbe potuto dire che avesse lasciato Kanma anche per quello. Alla kyne sua madre, prima tra le pari, sarebbero caduti i capelli a sentir definire così l’oligarchia, ma a ben pensarci forse era proprio questa la cosa più apprezzabile. Non che avesse intenzione di comunicarlo (o anche solo lasciarlo intuire) al nano. Il solo fatto che gli avesse rivolto quelle due parole era già più di quanto meritasse.
    Su richiesta del corsaro, comunque, l’attendente svegliò Itreya dal suo svenimento, discutendo di olio bollente e calce viva. Il primo capitano lo prese per la mandibola e lo scosse avanti e indietro. Sconvolto, Itreya sputò due denti.
    «Un premolare e un molare, comunque? Se non altro, possiamo dire che hai dei buoni denti. Pardon, che avevi
    Così, però, rischiava di rompere il giocattolo prima che avesse servitor al suo scopo. O forse no. Da come si muoveva, sembrava sapere quello che faceva. Del resto, fino a non molto tempo prima, il capitano L’Estant era pur sempre un pirata senza licenza; qualche trucco doveva pur averlo imparato, per ottenere quello che voleva.
    Tra un discorso e l’altro sulla necessità di procurarsi un medico (necessità che, personalmente, non vedeva, a dire il vero; una volta che avesse cantato, aveva intenzione di regalare Itreya a kyne Torep perché ne facesse quel che più le aggradava, dopotutto, e non era detto che le servisse sano), Vis Revar si avvicinò al prigioniero con un rasoio. Ne appoggiò il filo sotto l’occhio di Itreya. «Ora, tornando a noi... Quanto è alta la tua soglia del dolore? Perché, vedi, vorrei proprio sapere con chi ha parlato tua madre prima di spedirti qui. Prova a ricordare. Nessuno ti forza, comunque. Se non lo farai, sai, potresti scoprire com'è la sensazione di una lama fredda che si porta via la pelle attorno all'occhio. E poi magari l'occhio stesso. Sai che puoi restare cosciente mentre penzola?» oteò di nuovo la lama, ridacchiando tra sè e sé. «Anche per ore. Come quando si viene impalati. Se si è bravi, e ti assicuro che lo sono, si può mantenere la vittima cosciente per giorni Sorridendo come un gatto, Vis girò intorno alla sedia. «Allora, con chi ha parlato? Nomi, facce, identità. Non darmi la versione che ha deciso da sola, spedendo solo te. Sei venuto senza una scorta, camuffato... c'è altro sotto. O qualcuno.»
    Parlava ancora troppo, il suo primo capitano, ma aveva ragione. C’era qualcosa sotto. Qualcosa di importante. Solo un imbecille avrebbe creduto che sua madre voleva riprendere le trattative commerciali. Senza Itreya a svenderle Vandyra, avrebbe rischiato di dover trattare per davvero. Specie se intendeva trattare con lei. E, sicuro come l’oro, non avrebbe mai permesso a Itreya di condurre le trattative. Sua madre non era il tipo di drow che delegava, non quel genere di questioni. Non avrebbe mai messo la sua reputazione di prima tra le pari davanti al Senato nelle mani di quel fallito sputa-denti.
    Fallito che, però, non sembrava aver fretta di parlare, anche se guardava Vis Revar come fosse un’Idra Maggiore appena uscita dall’uovo. Il suo sguardo saettò da lui a lei e ritorno un paio di volte, mentre i pensieri vorticavano dietro i suoi occhi. «Adalia, non potresti richiamare il tuo cane? Così potremmo parlarne civilmente, da consanguinei, davanti a del vino.»
    Adalia lo fissò e valutò seriamente se ridergli in faccia. Ma sarebbe stato volgare. Ridere a comando, poi, era di base uno spreco della sua intelligenza. Perciò strinse le labbra fino a una linea sottile. «Credevamo di essere state chiare, prigioniero. Non sei un nostro consanguineo più di quanto non lo sia la polvere sotto i tuoi stivali. Che ne sarebbe comunque più degna. Ora rispondi al capitano, prima che perda la pazienza. Potrebbe farti saltare un altro paio di denti, anche se non ci dispiacerebbe strappartene un paio di nostro pugno.»
    Itreya schiuse le labbra e sgranò gli occhi. Questa sua insistenza a rifiutare che il vincolo di sangue tra loro aveva perso ogni valore non lo avrebbe portato lontano; anzi, cominciava a essere irritante. Se rimpiangeva il valore che aveva ai suoi occhi quando lo aveva portato con sé nella spedizione per fondare Vandyra, era davvero troppo tardi. Avrebbe dovuto fare quei calcoli molto, molto prima. «Conosci nostra madre, Adalia. Ovviamente ha ascoltato tutte le senatrici, ma l’ultima parola sulla questione è stata la sua. Tuttavia, rifiuta che la eleggano regina. Le corone, dice, tendono ad attirare i pugnali. È fatta così, vecchio stile. Perciò ce ne siamo andati, no?»
    Oh, voleva fare il nostalgico, adesso? Pensava di poterle fare due moine e tornare nelle sue grazie, anche dopo che aveva permesso al suo primo capitano di spezzargli una gamba e fargli saltare un dito e due denti. Forse il dolore lo aveva fatto uscire di senno, dopotutto.
    «Ma, se vuoi la lista complete… mi serviranno carta e penna, perché è lunga. Immagino di dover includere le sue consigliere, clienti e favorite. Io non sarei nel novero, comunque, ma questo già lo sai. Ha detto “vai” e io sono partito.»
    Sapendo di andare incontro a morte certa, nel caso in cui fosse stato preso? «Non girarci intorno, prigioniero.»
    «Nostra madre voleva informazioni, nient’altro.»
    Dunque niente trattative. Voleva sapere se era già pronta a respingerla, nel caso avesse mandato l’esercito del Senato? Ma forse sbagliava a non considerare un elemento fondamentale. «E tu, prigioniero, cos’è che volevi?»
    Itreya la fissò con occhi grandi come piatti da portata. «Tornare a casa, sorella. E tenermi la testa attaccata al collo.»
    «Allora hai puntato sulla sajuta sbagliata, prigioniero.»
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    Edited by Maððie - 20/4/2021, 14:11
     
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    "Tornare a casa, sorella."
    Vis Revar fece saltellare il rasoio dal polpastrello del medio a quello dell'indice. Una richiesta fattibile, quella. Un pezzo alla volta, sì.
    "E tenermi la testa attaccata al collo."
    "Quello mi chiederebbe una scatola più grande di quella che ho voglia di cercare per te." disse Vis, occhieggiando al proprio braccio destro. Testa più collo era almeno un buon mezzo braccio di legno. E lucchetti. "Spero tu non pretenda anche le spalle, scarafaggio. O le scapole."
    "Mon capitain?" lo interruppe Dùsh. "Ma voi non avete la sensazione di essere rimasto congelato in questa stanza per dieci mesi?"
    "Nove mesi" lo corresse Vis, guardando verso il fondo della sala. "Nove mesi. No, no, dieci. Mogano, a proposito. Mogano."
    "Mogano?"
    "La scatola."
    Lo scheletro schioccò i denti. "Non vi seguo."
    "La scatola dove mettere i suoi pezzi" rispose Vis, scoccando un cenno a Itreya."Mi piace come legno, ma non lo userei mai per uno come lui. Non lo vale."
    "Ah."
    "Secondo me non vale neanche il legno di balsa" commentò Pierre. "E quello è, tipo, il peggior legno che potremmo trovare."
    "Ogni cosa per te è la peggiore che potremmo trovare."
    "Sono molto selettivo, Ossa."
    "Troppo!"
    Ignorando i suoi due compagni, gli occhi di Vis passarono dal guardare il niente allo squadrare la porta. Dieci mesi!* "Quindi, non sei qui per trattare, non sei qui in missione, non hai alleati..."
    Gettò il rasoio nelle mani di Dùsh, che lo ripose nella scatola.
    "Chi sentirebbe la tua mancanza?" Intrecciò le mani, facendo attenzione a che lo schioccare delle dita fosse ben chiaro. "Per come la vedo, se ora decidessi di strapparti un polmone, nessuno sarebbe in grado di ricondurlo a noi. La gente sparisce di continuo, dopotutto. Ancora di più per mare."
    Si chinò in avanti, sfiorando il viso del prigioniero con il proprio. "Trrragiche circostanze. Tragiche." E girandogli attorno, Vis gli infisse un'unghia sotto l'orbita sinistra. Tirò verso l'alto, appena il necessario per lacerare la pelle senza scendere in profondità. "Un drow dilaniato da bestie feroci del sottosuolo, tritato e masticato e poi rigettato e poi masticato ancora e ancora..."
    Interrruppe il solco e strofinò il dito sulla casacca di Itreya per ripulirlo. "Perfino il tuo sangue è disgustoso."
    Unto. Quello di qualcuno che aveva una dieta ricca, ma poco equilibrata.
    "Ti direi di stare attento alla gotta, ma non vivrai abbastanza da soffrirne." Si volse verso Dùsh. "Tranciagli un dito."
    "Sì, capitano."
    "Tieni su quell'accento!"
    "Oui, mon capitain..."
    "Allora, visto che ci tieni... quale pezzo vuoi perdere per primo? Al di là del dito, quello è solo perché la tua esistenza mi infastidisce e sentirti strillare allevia di poco il disgusto che ogni tuo respiro mi suscita."

    *OOOOOOW! My window! Again!
     
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    Vis Revar giocherellò con il rasoio. «Quello mi chiederebbe una scatola più grande di quella che ho voglia di cercare per te. Spero tu non pretenda anche le spalle, scarafaggio. O le scapole.»
    Itreya sgranò gli occhi, che quasi minacciarono di rotolare fuori dalle orbite.
    Adalia nascose un sorriso dietro il ventaglio. Se lo avessero davvero squartato e rimandato a casa in una scatola, lei di certo non avrebbe obiettato.
    «Quindi, non sei qui per trattare, non sei qui in missione, non hai alleati...» Vis Revar lanciò il rasoio allo scheletro. «Chi sentirebbe la tua mancanza?» Lo stava minacciando di nuovo.
    E la paura negli occhi di Itreya era la cosa migliore di quella giornata. «La kyne mia madre!» sbottò, come se quella viscida femmina avesse mai avuto a cuore altri che se stessa. «E mia moglie! Lei ne avrebe molto a male.»
    Oh, quindi era di questo che si trattava. Viscido, naturalmente, ma nel perfetto stile di sua madre.
    «Tranciagli un dito.»
    Itreya si dimenò sulla sedia, come se potesse sottrarsi a quella nuova mutilazione solo provandoci.
    «Allora, visto che ci tieni... quale pezzo vuoi perdere per primo? Al di là del dito, quello è solo perché la tua esistenza mi infastidisce e sentirti strillare allevia di poco il disgusto che ogni tuo respiro mi suscita.»
    «Nessuno! Come congiunto della regina, dovrei…»
    Adalia lo colpì con una sferzata di vento generata dal suo ventaglio. «Ignoratelo, capitano. È evidente che non sa quando tacere.» Scoccò un’occhiata di disprezzo a suo fratello e fece cenno al capitano di seguirla fuori dalla porta. Uscì per prima e, percorse il corridoio, superando almeno tre porte prima di aprirne una. Gli fece cenno di entrare.
    Era un banale magazzino, con anfore e vasi di varia grandezza sugli scaffali.
    Adalia chiuse la porta e, con una sferzata del ventaglio la sigillò. Un altro paio di colpi e una patina lattescente si appicciò alle pareti prima di sparire. Nessuno avrebbe potuto sentire, a meno di sfondare la porta. «Credo di aver capito perché è qui.» Si appoggiò a uno scaffale con le spalle. «Morire, capitano. Nostra madre lo ha mandato a morire, per avere un incidente da usare per muverci guerra. Se non può trattare alle sue condizioni, cercherà di invaderci.» Ma, se il suo altro piano fosse andato come doveva, ben presto avrebbe avuto tutt’altre rogne da gestire. «Probabilmente lo pianificava da quando ha ordito il matrimonio di Itreya, ma non abbiamo prove e, anche fosse, non servirebbero.» Si rimise dritta. «I vostri pensieri in merito, capitano?»
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    Edited by Maððie - 30/7/2022, 10:46
     
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    "I vostri pensieri in merito, capitano?"
    Quel magazzino era noioso. Non c'era niente d'interessante, escluse le anfore. Le anfore potevano sempre tornare utili; ci si poteva stivare dentro olio, vino, sangue fresco o alcune tipologie di graminacee e occupavano poco spazio.
    Se avesse trasformato quel magazzino vuoto in un magazzino pieno? In cambio di una percentuale sull'incamero, poteva offrire un luogo refrigerato e sicuro dove stipare merci.
    E metterlo alle dipendenze palatine avrebbe garantito un guadagno d'entrata. Non è lo Aghairò di Mykrenika, ma nemmeno quello è sorto in un giorno solo.
    Era un'idea da implementare.
    "Abbiamo già dei nemici, Vostra Maestà." Grattò il pavimento con la punta dello stivale, rimediando un cerchio sbiancato in mezzo al grigio. "E di loro sappiamo meno di quel che vorrei e più del necessario per sapere che sono la minaccia attuale al regno. Non possiamo combattere a nord, sud, est ed ovest con una nave e venti anime."
    In futuro, con una forza militare più solida? Poteva essere. Esistevano dei domini vampiri e quando si era invischiati con una simile compagnia, i morti potevano diventare reclute indefesse e con poche pretese.
    Ma non era quello il momento.
    "Dobbiamo scegliere le battaglie che possiamo vincere. E combattere vostra madre, al presente, non è nell'interesse del regno. Ci metterebbe molto a raggiungerci con una forza cospicua e..."
    Si guardò attorno. "Con una buona dose di fortuna e operazioni di guerriglia, potremmo storpiare un primo assalto. Colpirli in transito nei fiordi sotterranei potrebbe fruttare degli scafi e dei prigionieri, ma salvo uno straordinario colpo di fortuna, sarebbero pedine."
    C'erano due maniere di vincere un dominio drow. Entrambi richiedevano più risorse di quelle che loro avevano a disposizione.
    Suscitare una serie di imbarazzanti disfatte avrebbe causato una successione improvvisa nella gerarchia, e un'invasione diretta l'avrebbe rovesciata in modo diretto.
    Per entrambe, servivano più corpi, scafi e armi di quelle che avevano. "Mi dispiace dirlo, ma non siamo Arevril. Non abbiamo centomila elmi e cinquecento navi, per ora. E non credo sarebbero interessati a noi, ora come ora. Mi dispiace ancora di più considerare che lo scarafaggio..."
    Se l'avesse impalato e portato in quella stanza, quanto a lungo sarebbe stato in grado di mantenerlo in vita? Tre giorni? Poteva fare di meglio, ma era troppo sforzo per uno scarafaggio.
    "Vi risulta più utile da vivo che da morto, al momento."
    Per ora.
    "O, ancora meglio, da tragicamente disperso nei cunicoli. Dopotutto, non è mai arrivato da noi. Che disdetta..."
     
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    «Abbiamo già dei nemici, vostra maestà.»
    Adalia annuì. Ottima osservazione. Per questo ne stavano parlando in un magazzino polveroso invece di smontare suo fratello come la marionetta che era.
    «E di loro sappiamo meno di quel che vorrei e più del necessario per sapere che sono la minaccia attuale al regno. Non possiamo combattere a nord, sud, est ed ovest con una nave e venti anime.»
    «Direi proprio di no.» Ecco perché di Kanma e della sua ministra si sarebbe occupato qualcun altro. Ma era presto per parlarne.
    Le considerazioni di Vis Revar sull’argomento erano tutte giuste. Poteva non piacerle, ma la valutazione che il capitano aveva fatto delle loro forze era quasi esatta e, per quanto la sua ciurma avesse alzato quel numero di un paio di unità, un pugno di arcanisti e pirati non avrebbe mai sconfitto un esercito regolare.
    «Mi dispiace ancora di più considerare che lo scarafaggio vi risulta più utile da vivo che da morto, al momento.»
    Quello dispiaceva anche a lei. Molto. Se avesse potuto scannare e fare a pezzi suo fratello con le proprie mani, lo avrebbe fatto. Ma dare a sua madre il pretesto che cercava sarebbe stato da idiota, specialmente visto che sapeva cosa aveva in mente. Arricciò le labbra. Tenerlo vivo sarebbe stato inutilmente costoso, ma eliminarlo sarebbe stato peggio.
    «O, ancora meglio, da tragicamente disperso nei cunicoli. Dopotutto, non è mai arrivato da noi. Che disdetta...»
    Adalia incline la testa, picchiettando sulle labbra con il ventaglio chiuso. «Vi ricordo che lo avete catturato davanti a una folla gremita, capitano.» Se qualcuno avesse pensato di poterci guadagnare, non avrebbe esitato a vendere l’informazione a sua madre – o a chiunque potesse avere interesse. «Disponete di lui come ritenete meglio, ma dovremo trovare una giustificazione per quello che è successo ieri.»
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    A che serve mettere le date nelle role? A questo. Fare role linkate nel tempo e nello spazio.

    Also, *Nyram Del Sogno* ti lanciato un amo per Gabriel per fare una giocata in Vandyra (o più di una, se vogliamo dare sia nel passato sia nel presente)
     
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    «Disponete di lui come ritenete meglio, ma dovremo trovare una giustificazione per quello che è successo ieri.»
    Poteva essere un'idea quella di riunire tutta la sparuta sudditanza e manipolarne la memoria? Ricordava di uno stato che l'aveva fatto, ma non gli veniva in mente come fosse finita.
    No, non ne valeva la pena. La soluzione più efficace, una volta ancora, poteva essere la più semplice.
    «Non lo possiamo rimandare da vostra madre», avrebbe detto, scoccando un cenno al prigioniero. «E non ha alcun senso sobbarcarsi la spesa di mantenerlo in vita in una segreta. Premesso che quest'ultima idea è anche estremamente noiosa.»
    Le labbra di Vis si piegarono in un mezzo ghigno.
    «La versione ufficiale è che durante il varo abbiamo catturato una pericolosa spia al servizio dei nostri nemici.»
    Non era necessario specificare quali nemici. Tutti lo potevano essere, prima o poi.
    «E come ben saprete meglio di me, la versione ufficiale è quella che conta di più. Le altre sono dicerie e vivono poco prima di cambiare con il vento. Quindi direi che posso ucciderlo.»
    Perlomeno sarebbe stata una noia in meno. E poi gli sembrava di non aver ucciso qualcosa da più di anno. Forse era il caso di recuperare il dottor Boji e chiedergli in merito a quelle sensazioni. Tra tutti, lui poteva avere una spiegazione.
    «Ora, se avete in mente una particolare morte per lui, l'accolgo con favore. Altrimenti, posso semplicemente tirargli il collo.»
    Mmmh, a pensarci bene quello era banale. Avrebbe potuto sgozzarlo, oppure aprirgli la carotide e strappargli le corde vocali. Oh, il mondo offriva così tante possibilità e la carne era così malleabile!
    Alla fine dei conti, bastava solo avere un po' di sana immaginazione.
    Quello scarafaggio è così debole che non vale la pena di dissanguarlo...

    Edited by Maððie - 24/9/2023, 10:13
     
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