Solo affari

Domanda inutile.
«Ho un deja-vu» commentò il Tizio Senza Nome. «Ah, mon maître, ero arrivato alla V» continuò, come se nulla fosse, leggendo da un foglio immaginario, per poi perdere il filo del discorso perché non riusciva a trovare >«l’altro libro».
Ziva lo guardava a occhi sbarrati scodellare nomi e parole in codice senza un briciolo di senso. Forse avrebbe fatto meglio a levare le tende senza guardarsi indietro.
«Ziva Kysely'...fatico a ricordare i dettagli, sia io punito.»
Ziva inarcò un sopracciglio. Le aveva storpiato il cognome, ma come la conosceva? Forse avrebbe fatto meglio a lasciare che si desse fuoco. Anche perché non risciva a seguire una parola di quello che diceva.
«Se posso avvisarvi, vostra furbizia… prima di andare, avrei a cuore che vi sottoponiate alla consueta terapia.»
Stava giocando con lei? Magari faceva solo finta di essere matto e voleva derubarla, ucciderla o chissà che altro. Ma era quasi troppo teatrale per un sicario e, poi, onestamente, chi mai avrebbe potuto (o voluto!) mettergliene uno alle calcagna? Si stropicciò pe palpebre con pollice e indice. Doveva inventarsi qualcosa, in fretta. Magari poteva provare a rivolgergli contro la sua stessa medicina. Si schiarì la voce. «Servo imbecille!» sbottò, cercando di arrochire il tono per renderlo più “padron Julian” possibile. «Non ho tempo per i tuoi trucchetti da strapazzo, adesso! Hai dimenticato quanti impegni abbiamo oggi? Finisci quella lista, prima che ti faccia assaggiare il mio bastone!» Avrebbe dovuto lavarsi la bocca con l’aceto, dopo tante stupidaggini, ma magari così gli avrebbe tirato fuori qualche altra cosa su di sé.

Forse, dopotutto, quel folle un po’ d’istinto di autoconservazione lo aveva, per come si era messo a starnazzare per chiedere pietà. Distratto dall’orologio sbucato dalla sua manica, riprese a farneticare di punizioni e furti.
Ziva si sarebbe volentieri data una manata sulla fronte per essere stata al gioco, ma una parola colpì la sua attenzione: balbuzie. Chiunque fosse Julian, secondo il sedicente servo, ne soffriva.
E, sempre secondo lui, «gli effetti dell'intruglio termineranno fra meno di un minuto».
Dunque voleva avvelenarla, tutto lì! Come già sospettava, del resto. Ma senza la boccetta da usare come prova non poteva consegnarlo alle autorità. Non era nemmeno detto ci fosse una taglia sulla sua testa, quindi prendersi il disturbo poteva rivelarsi persino inutile. Ma lo avrebbe fatto volentieri, pur di non sentirlo più vaneggiare!
Però qualcosa su di lei la stava dicendo… o forse la Ziva di cui parlava era semplicemente un’omonima. Anzi, più probabilmente, quelle informazioni erano tutte inventate di sana pianta; la vera domanda era dove accidenti avesse pescato il suo nome.
«Il tempo è tiranno, mon maître. Tic, tac. Tic, tac. Tic, tac» concluse il disgraziato.
Ziva sbuffò. «E va bene!» sbottò, porgendogli la mano. «Da’ qua, avanti.» A occhio, era nettamente in vantaggio in uno scontro: era più forte, più sana e più allenata di quello stupido gobbo. Se avesse tentato qualche trucco, lo avrebbe messo al tappeto; altrimenti, avrebbe dolo dovuto fingere d’ingollare l’intruglio e farlo finire nel fango.

Il Sedicente Servo sghignazzava dietro le nocche, cercando qualcosa con lo sguardo. Non trovandolo, svitò una delle candele per usare il candelabro come coppa. «Il vostro difetto non è muscolare, mio signore, bensì nervoso.»
Ziva si trattenne a malapena dallo sbuffare.
A quanto pare, voleva somministrarle dell’aquilegia.
Suo padre la usava talvolta come calmante, in effetti, ma solo se non aveva opzioni migliori (tipo valeriana o passiflora) e in quantità minime per non rischiare di attivarne gli effetti tossici.
Dei quali il folle sembrava decisamente consapevole, da come parlava. E la dose che aveva buttato nel candelabro era ben oltre il dosaggio consigliato.
Stava cercando di avvelenare lei o «padron Julian»? Non che facesse differenza. Non aveva intenzione di ingollare l’intruglio, per nessuna ragione al mondo. Peccato che il suo trucco non sembrasse funzionare.
«Temo necessiti che vi inginocchiate» la sorprese il Sedicente Servo.
E adesso? Se avesse preso la forma animale, avrebbe potuto seminarlo o ucciderlo senza problemi, al prezzo di distruggere i vestiti, ma si sarebbe attirata le ire di chiunque l’avesse vista. In più, ora aveva la prova che il tizio fosse un qualche tipo di arcanista.
C’era solo una cosa che potesse fare.
S’inginocchiò come richiesto, con un ginocchio a terra e l’altro a novanta gradi, tenendo la testa bassa come se stesse osservando qualcosa nel fango. Se il folle le avesse detto di alzare la testa, ne avrebbe approfittato per provare a fargli rovesciare l’intruglio – o, meglio ancora, far volare via il candeliere. Era un tiro lungo, ma se doveva farsi venire il mal di pancia, tanto valeva rischiare.